Il buono è un giudizio che è stato mantenuto, nella valutazione scolastica, sin dai tempi del fascismo e corrisponde oggi lì dove utilizzato ad una valutazione pari a 7, dunque di poco superiore alla sufficienza ed inferiore, ma lontano, dall’ottimo. Non si parla di ottima scuola, non si è voluto perseguire una simile presunzione ma ci si accontenta della buona scuola, ben tenendo conto, a parer mio, con tutte le peripezie che il personale scolastico deve affrontare, che la scuola oggi esistente è molto più che buona, pur con delle carenze strutturali ovvie, ma la cui responsabilità sono imputabili allo Stato, alla sua inerzia e non certamente al personale scolastico e comunità scolastica.
Nel questionario pubblico del piano la Buona Scuola, tra i vari quesiti posti, due, in particolare, riguardano, la voce il buon docente ed il buon preside o dirigente scolastico. Quando si parla del buon docente si scrive: “Il ruolo dei docenti nella scuola è rapidamente cambiato, oggi ci si aspetta che i docenti gestiscano classi sempre più multiculturali, integrino gli studenti con bisogni speciali, utilizzino le tecnologie per la didattica, coinvolgano i genitori, e siano valutati e responsabilizzati pubblicamente.
Ci si aspetta inoltre che non insegnino solo un sapere codificato, ma modi di pensare (creatività, pensiero critico, problem-solving, decision-making, capacità di apprendere), metodi di lavoro (tecnologie per la comunicazione e collaborazione) e abilità per la vita e per lo sviluppo professionale nelle democrazie moderne. Aspettative su cui in buona parte non sono stati preparati dai loro percorsi di studio e che devono necessariamente essere sostenute da un solido sistema di sviluppo professionale” (vedi capitolo II – pag. 45).
Dunque emergono delle presunzioni, che nella maggior parte dei casi, sono uno schiaffo per una platea enorme di docenti. In burocratese si scrive insomma che la maggior parte dei docenti italiani non sanno svolgere il loro lavoro? Che il loro lavoro è inutile perché tradisce le aspettative di chi ha scritto questo programma politico? Da quando i docenti della scuola italiana insegnano un sapere codificato? Anzi, le battaglie svolte contro l’Invalsi, ad esempio, denunciavano proprio ciò, il rischio reale e concreto di una scuola nozionista e codificata, ed il reale rischio di compromettere la diffusione del sapere critico, quel sapere critico, che in modo beffardo ora viene difeso da chi propone una scuola incentrata nel sistema Invalsi, due opposti inconciliabili.
Nella buona scuola si scrive dunque che queste aspettative rischiano in sostanza di essere disattese perché non preparati, i docenti, dai loro percorsi di studio. Ma in base a quale fonte si può sostenere una c osa del genere? Se in parte è vero che vi è stata una corsa alle tecnologie, pur fallimentare, vedi il caso delle classi 2.0, dall’altro mi pare che per imparare ad utilizzare i nuovi strumenti non serve mica una laurea specialistica, ma bastono semplici corsi, come già svolti. Forse si vuole intendere altro, dell’altro che incide profondamente nel modo di insegnare e su cosa di deve insegnare.
Chi ha deciso che ci si aspetta che i docenti siano valutati e responsabilizzati pubblicamente? Dunque i docenti, oggi, sono irresponsabili, pubblicamente? Non mi pare proprio, ed il sistema scolastico ha avuto a sua disposizione, strumenti, di cui comunque continua a disporre, per contrastare eventuali situazioni critiche, penso agli ispettori o sanzioni disciplinari.
Chi ha deciso che ci si deve aspettare una valutazione pubblica dei docenti?
La domanda, in merito alla figura del buon docente sarà la seguente: Quali caratteristiche di un docente ritieni importanti?
Le risposte, possibili, da selezionare, saranno le seguenti:
La qualità del lavoro che svolge in classe.
Il suo curriculum.
La formazione ricevuta.
La capacità di collaborare con i colleghi.
L’impegno nella progettazione extra-curricolare.
Il lavoro per migliorare la qualità della scuola.
L’impegno nell’attività di counselling rivolta agli studenti (orientamento, mentorship).
La reputazione che il docente raccoglie presso i colleghi, i genitori e gli studenti (per le superiori).
Il tempo dedicato al coinvolgimento dei genitori e delle famiglie.
Altro (indicare una ulteriore opzione o un commento).
Risposte abbastanza chiare nel presentare il docente non più come cultore della libertà d’insegnamento ma semplice servitore, fornitore di un servizio che deve soddisfare la clientela e se il prodotto venduto non è ritenuto soddisfacente, la porta di uscita è aperta. Peccato che il sapere non è un prodotto commerciale e che la libertà d’insegnamento è un qualcosa di molto più profondo ed articolato che merita certamente rispetto e non può essere liquidata in quattro battute semplicistiche. E poi reputazione, quale reputazione? Cosa determina la reputazione? Sicuramente, seguendo la logica di questo sistema, avrà una pessima reputazione chi ostacola il processo della scuola azienda e non si inchina ai voleri della dirigenza scolastica e rivendica la propria autonomia e libertà professionale e d’insegnamento e la difesa dei propri diritti.
Il buon preside. Si usa ancora la parola preside, per poi aggiungere – con il trattino – o Dirigente scolastico.
Scrivono che il dirigente scolastico: “ha un ruolo essenziale nel governo della scuola, per organizzarne il lavoro interno, guidarne il piano di miglioramento, coordinare le attività di docenti e di tutto il personale scolastico, concordare le sfide con il territorio e con gli altri attori sociali dell’area vasta che sostiene l’istituto”. Insomma più che un dirigente scolastico sembra un capitano di una nave in balia di onde ostili. Alla domanda quali caratteristiche definiscono un buon preside?
Le risposte, da selezionare, saranno:
La capacità di disegnare un efficace progetto di miglioramento della scuola.
La capacità di creare un ambiente di lavoro positivo e di condivisione tra i docenti.
L’abilità di aprire la scuola al territorio.
La capacità di coinvolgere le famiglie.
La capacità di attrarre risorse economiche diverse dal finanziamento pubblico.
La capacità di creare un ambiente in cui ogni studente si senta accolto e parte della collettività.
La capacità di sviluppare un progetto formativo solido ed efficace.
La precedente esperienza didattica.
Competenze gestionali e amministrative.
Altro (indicare una ulteriore opzione o un commento).
Ma quello che mi domando, tra le varie cose, gli organi collegiali, che sarebbero il vero autogoverno della scuola, il vero centro d’imputazione decisionale e democratica della scuola, che fine hanno fatto in tutto ciò?