Bella arringa quella che leggo su Twitter di un certo se dicente Maurizio Parodi riguardante la necessità dei compiti delle vacanze. Mi verrebbe da dire che in primis lo studente non è un lavoratore che gode quindi dei diritti dello stesso.
L’insegnante, il buon insegnante, sta ultimando in questi giorni, ovvero fino alla fine di giugno (30 giugno per la precisione), il lavoro di riordino di aule e materiali, sta stendendo relazioni che vanno a rimpinguare quintali di carte e registri che lo stato obbliga a compilare. Il buon insegnante va in ferie purtroppo quando le vacanze costano molto di più rispetto al mese di giugno e settembre, periodo in cui non può chiedere ferie neanche se volesse; il buon insegnante quando torna dalle sue così poco meritate vacanze si sente in dovere di cominciare la preparazione del prossimo anno scolastico, studiando di nuovo cosa dovrà insegnare cercando di aggiornarsi, ovviamente privatamente con i suoi soldi e comprando libri che gli serviranno per innovare il più possibile le sue tecniche di insegnamento sempre con i suoi soldi.
Il buon insegnante preparerà anche molte delle fotocopie che pensa di utilizzare per i suoi ragazzi, ma ovviamente le farà a casa utilizzando i suoi soldi; attività che non risultano appannaggio di altre categorie lavorative che trovano i loro materiali al lavoro come il computer che invece l’insegnante deve comprarsi con il suo stipendio. Il buon insegnante vorrebbe andare a scuola durante l’estate a lavorare e magari anche il sabato, se necessita ma la scuola è chiusa per restauri, pulizie e quant’altro, i bidelli,obbligatori per legge per la presenza a scuola degli insegnanti, non possono fare straordinari, quindi la scuola resta chiusa. E allora non resta altro che lavorare a casa portandosi avanti e indietro chili di libri e quaderni, usando i propri mezzi e i propri soldi. Il buon insegnante sa che la scuola insegna non soltanto le conoscenze che genitori disinteressati e sempre più ignoranti non hanno tempo né voglia di colmare, ma anche e sopratutto un metodo di lavoro e di apprendimento che un genitore né men che meno un computer può trasmettere.
Il buon insegnante sa che il processore di apprendimento passa anche attraverso il lavoro di gruppo con i pari così fondamentale per l’inclusione di tutti, anche delle categorie più deboli.
Il buon insegnante sa che checché se ne dica la maggior parte dei bambini dichiara di avere non più di cinque libri a casa e di non essere mai stato portato in una biblioteca né in una libreria dai genitori. Il buon insegnante italiano vorrebbe che le vacanze fossero diluite nel corso dell’anno scolastico come avviene in altri paesi europei perché si sa che per quelle famiglie che non useranno l’estate per favorire la crescita personale e formativa del proprio figlio, manderà a settembre a scuola un ragazzino sempre meno avvezzo al sacrificio dello studio, all’abitudine allo stimolo.
Il buon insegnante infine sa dare compiti estivi stimolanti e creativi che senza fatica terranno la mente dei ragazzini attiva e sveglia. Il buono genitore dovrebbe ringraziare il buon insegnante che occupa l’adolescente in un’attività che non lo “addivani” per tre mesi, perché si sa che tanto di certo non utilizzeranno l’estate per rifarsi i letti, apparecchiare, imparare a cucinare un uovo o la pasta, preparare un pic-Nic o accudire le galline.
il buon insegnante infine saprà dire che i compiti non sono obbligatori e sopratutto saprà accettare una sana vacanza senza compiti, giustificati però da una bella relazione su tutte le attività alternative ai così tanto anacronistici compiti, ma altrettanto o ancora più formative.
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