Il buonismo è riemerso nella vita delle scuole. E’ un atteggiamento incline ad assecondare i desideri, le esigenze della controparte, senza avanzare pretese. Ci condiziona l’idea che il nostro profilo storicamente è fondato sull’idea della missione, una sorta di estensione del profilo materno, dove molto spazio è dato alla relazione, all’attenzione ai bisogni affettivi ed emotivi degli alunni. Da qui è giustificato l’atteggiamento di molti genitori che spesso ci dicono che il nostro lavoro è sinonimo di missione, di volontariato, pensando, senza dirlo ad alta voce che il nostro stipendio è adeguato al lavoro che svolgiamo.
Non a caso, l’insegnante di scuola primaria, è definito come maestro, spesso pensando a un basso profilo, costituito da assistenzialismo e insegnamento di valori morali ( si badi non ho scritto etici inteso nell’accezione hegeliana ). Per inciso, mi piace il termine ” maestro”. Ne sono orgoglioso! Del resto nel mio blog è presente questo termine. Lo intendo, però, all’interno di un profilo maturo, più ristretto nella prospettiva operativa e decisamente più laico, dove al centro c’é la formazione di una persona libera, perché il suo spirito critico è basato su un sapere solido e liquido nello stesso tempo che si struttura e destruttura attraverso l’imparare ad imparare, storicamente situato e socialmente condiviso.
Detto questo intravvedo dei pericoli, quando questo profilo “buonista” diventa sistema, formalizzazione diffusa dei rapporti tra l’ Amministrazione e il docente. Penso ad esempio ai tanti Animatori digitali o ai componenti del team d’innovazione che hanno accettato il loro incarico senza un contratto e quindi senza, tra l’altro, un compenso
Da questo rapporto ne esce vincente solo la prima, la quale gradualmente appesantisce il profilo del docente di impegni, molti dei quali con il tempo diventano obblighi a compenso zero. Le conseguenze psicologiche sono evidenti. E’ sufficiente visitare i social, cioè quegli ambienti esenti da discorsi sui massimi sistemi pedagogici e psicologici per avere la conferma di quanto ho scritto finora. Qui è possibile leggere post di insegnanti sempre più irretiti dalla percezione dello “scivolamento sociale” verso il punto di non ritorno: la povertà!
In alcuni casi il buonismo risulta anche la risposta rassegnata, un pò masochista, ad una situazione ritenuta non modificabile, dove marxianamente la teoria ( la riflessione sulla situazione ) non è seguita dalla prassi trasformatrice. In questo buonismo, intravvedo spesso ” una passione triste” (B. Spinosa) di insegnanti monadizzati (T. Hobbes) che percepiscono l’Amministrazione come una controparte inattaccabile, in quanto i suoi pungoli sono stati depotenziati dalla Legge 146/90 ( Regolamentazione del diritto di sciopero), riproposti da un sindacato che ha bisogno di “pesarsi”, cosciente però della sua inefficacia operativa.
C’è una speranza di uscita da questa ” gabbia dorata”, da questa caverna? Certamente, ma la condizione è quella di ripensarsi come un soggetto collettivo e quindi andare oltre l’individualismo, il “divide et impera” che caratterizza tanto della Legge 107/15, il “cretinismo economico” (A. Gramsci) che non riconosce alcun valore formativo alla scuola se non quello di formare ” teste non pensanti” al mercato. Le prime avvisaglie sono state le firme ai quattro referendum contro la “Buona Scuola” e il voto delle Amministrative di giugno.
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