È uno scenario quasi apocalittico quello che si prospetta per la scuola da qui ad un decennio: a fornirlo, partendo dai dati Istat sull’evoluzione demografica e migratoria, è la Fondazione Agnelli, che ha realizzato delle elaborazioni con una perdita secca di un milione di alunni e, di conseguenza, oltre 50 mila cattedre in meno. L’approfondimento sarà disponibile dal 13 aprile sul sito internet della Fondazione.
Il calo di iscritti, quindi di classi, porterebbe ad una forte contrazione di posti di insegnamento (con oltre 55.000 cattedre perse) e partirebbe dai gradi scolastici inferiori.
Secondo la fondazione Agnelli, inoltre, il fenomeno investirà progressivamente tutte le regioni, comprese quelle del Nord.
In Italia, ha ricordato la fondazione, la popolazione in età scolare fra i 3 e i 18 anni (dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado) è oggi di circa 9 milioni. Fra 10 anni, nel 2028, sarà scesa a 8 milioni.
E nessun altro Paese europeo avrà un trend così declinante. Tra le cause il saldo migratorio con l’estero sceso dal 7,5 per mille nel 2007 al 3 per mille nel 2017. La diminuzione degli studenti investirà tutte le aree e le regioni.
La popolazione fra 3 e 5 anni diminuirà ovunque, portando nel 2028 a una riduzione di circa 6.300 sezioni della scuola dell’infanzia, a regole vigenti. Il calo degli iscritti alla scuola primaria (6-10 anni) avrà un picco del 24% in Sardegna e del 20% in Campania, con una perdita di circa 18.000 classi.
Gli iscritti alla scuola media continueranno a crescere debolmente per qualche anno al Nord e al Centro, per poi unirsi al Sud nel declino, con una perdita totale al 2028 di circa 9.400 classi. Una traiettoria simile alle medie – sebbene spostata in là nel tempo – avrà anche la popolazione fra i 14 e i 18 anni, con una perdita alle scuole superiori di circa 3.000 classi (in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio il saldo nel 2028 sarà, però, ancora positivo).
Si prevede anche una forte riduzione della mobilità dei docenti, poiché diminuiranno le opportunità di trasferirsi dal Sud al Centro-Nord per entrare in ruolo. Rallenterà anche il turn over, poiché i pensionamenti potrebbero essere compensati dalla riduzione di posti.
“A soffrirne sarà il rinnovamento del corpo docente e probabilmente anche la capacità di innovazione didattica dell’intero sistema d’istruzione”, commenta Andrea Gavosto, direttore della Fondazione.
Si prospettano, inoltre, “significative implicazioni per le politiche dell’istruzione dei prossimi governi”. Ma Si potrebbe compensare il tutto riducendo il numero di alunni per classe
È chiaro, infatti, che in caso di effettivo decremento di iscrizioni, i governi sarebbero messi di fronte ad almeno due possibilità: la prima è quella di ridurre le classi, con ripercussioni negative sull’organico dei docenti. In tal caso, si stima un risparmio di quasi 2 miliardi di euro annui.
Ma si potrebbe anche compensare il ridotto numero di iscritti, con un minore numero di alunni per classe. Una eventualità, quest’ultima, richiesta a gran voce da associazioni studentesche e dei genitori, oltre che dai sindacati.
Secondo Gavosto, è “l’alternativa che appare preferibile a chi dà priorità al miglioramento della qualità dell’istruzione: è un rafforzamento della ‘scuola del pomeriggio’, con più possibilità di scelta del tempo pieno/prolungato, attività integrative, supporto ai percorsi personalizzati, contrasto all’abbandono”.
Infine, si potrebbe anche pensare ad un aumento del numero medio di insegnanti per classe è già stato sperimentato in passato, l’ultima volta nel 1990 con l’introduzione del modulo didattico alla primaria.
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