Ormai, batti e ribatti, l’abbiamo finalmente capita: l’unico normale, corrispondente al canone e alla norma, è lui, il poderoso generale Vannacci. Lo si capisce da quel che dice e dalla terminologia utilizzata per dirlo.
Nell’ultima miseria che ci ha regalato si avvale, come bevesse un bicchiere d’acqua, dell’aggettivo “disabile” che, come tutti sanno, significa “non abile”. Rispetto a cosa? Al canone aureo, cioè a lui e a tutti quelli che gli fanno la ola. Qualcuno di questi tifosi dovrebbe avere tuttavia la compiacenza di dirgli che il termine più appropriato per questi meravigliosi studenti è “diversamente abile”.
Perché quelli che lui chiama disabili hanno una tale abilità nell’affettività, nella tenerezza e in altri talenti che lui, che quell’affetto, quella tenerezza e quei talenti non li ha mai ricevuti, manco se li sogna.
E allora, caro generale, la domanda nasce spontanea: “ma non è che il vero disabile, inteso qui come persona incapace di provare empatia verso gli altri, è proprio lei e tutti quelli che la portano in palmo di mano?”
Augusto Secchi
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