Categorie: Politica scolastica

Il “capitale inagito”

A dare lettura di questo capito è l’Adi, Associazione docenti italiani, secondo cui siamo un Paese dal capitale inagito perché non riusciamo ancora a ottimizzare i nostri talenti.

Agli oltre 3 milioni di disoccupati si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare: quasi 8 milioni di individui inattivi di cui i più penalizzati sono i 15-34enni che costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali.

I Neet invece, i 15-29enni che non lavorano e non sono impegnati in nessun percorso di istruzione o formazione, sono passati da 1.832.000 nel 2007 a 2.435.000 nel 2013.

C’è poi il capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in Cassa integrazione, il cui numero di ore è passato nel periodo 2007-2013 da poco più di 184.000 a quasi 1,2 milioni, corrispondenti a 240.000 lavoratori sottoutilizzati.

Ma c’è anche il capitale umano sottoinquadrato, cioè persone che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto, e sono più di 4 milioni di lavoratori, il 19,5% degli occupati.

Il fenomeno della overeducation riguarda anche i laureati in scienze economiche e statistiche (il 57,3%) e persino un ingegnere su tre.

E siamo pure, commenta l’Adi,  un Paese dal capitale inagito anche perché l’Italia riesce solo in minima parte a mettere a valore il ricco patrimonio culturale di cui dispone.

Il numero di lavoratori nel settore della cultura (304.000, l’1,3% degli occupati totali) è meno della metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), e di gran lunga inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000).

Nel 2013 il settore ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del Paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia.

E mentre le principali economie europee hanno registrato dal 2007 un significativo sviluppo del settore, da noi la situazione è inversa: -1,6% tra il 2007 e il 2013 in termini di valore aggiunto (contro il +4,8% della Germania e il +9,2% della Francia) e +3,3% in termini occupazionali (contro il +10,9% della Germania e il +6,3% della Francia).

In più, a fronte del 63,5% di italiani che utilizzano internet, gli utenti dei social network sono il 49% della popolazione e arrivano all’80% tra i più giovani di 14-29 anni. Tra il 2009 e il 2014 gli utenti di Facebook 36-45enni sono aumentati del 153% e gli over 55 del 405%. Gli utenti italiani di Instagram sono circa 4 milioni. Delle 4,7 ore al giorno trascorse mediamente sul web, 2 sono dedicate ai social network.

E il numero di chi accede a internet tramite telefono cellulare in un giorno medio (7,4 milioni di persone) è ormai più alto di quanti accedono solo da pc (5,3 milioni) o da entrambi (7,2 milioni).

Di contro, sottolinea l’Adi, dal 2011 si sono susseguiti 72 decreti  pari a un volume di parole 12 volte maggiore della Divina Commedia, senza nessun effetto su sviluppo e occupazione

 Dall’autunno 2011 è partita una stagione di riforme che ha portato a 86 decreti approvati dal Consiglio dei ministri e presentati al Parlamento per la conversione in legge. Di questi, 72 sono stati convertiti in legge, 6 sono confluiti in altri provvedimenti e 3 sono in corso di conversione (a ottobre 2014). Per i 72 decreti, in sede di conversione in legge sono state introdotte oltre 1.300 modifiche e il testo in vigore corrisponde a un volume di circa 1,2 milioni di parole, vale a dire 11,6 volte la Divina Commedia di Dante.

Pasquale Almirante

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