“Siamo in carcere, noi ristretti, uomini e donne che devono espiare una condanna, proviamo a guardarci allo specchio all’interno di queste mura per vedervi riflesso il nostro vero volto, ma nello specchio, vediamo l’immagine di un’intera società. Una contraddizione: il sogno di un mondo perfetto che si scontra con lo Sguardo della realtà. Anche noi, come “Alice nel paese delle meraviglie”, abbiamo uno specchio da attraversare: purtroppo, di là, il paese che troviamo è reale. (Paolo – Rebibbia NC-Roma). Così, Paolo, uno degli studenti impegnati nel corso “Biblioteche innovative in carcere”, promosso dal CESP-Rete delle scuole ristrette presso la Casa Circondariale di Rebibbia-Roma (la Rete vuole far approvare progetti simili in vari istituti penitenziari), sottolinea la particolarità dell’esperienza maturata nel “trattamento” in carcere. Nel corso di quest’anno, gli studenti si sono misurati con l’immaginario utopico e, dai miti all’utopia di More, Campanella, Bacon, alle pagine di Mandeville, Voltaire e Swift, hanno incontrato l’opposto distopico di Huxley, Orwell e Bradbury. Così, tra i corsisti, è maturata l’immagine di uno spazio, quello della Biblioteca in carcere, quale luogo “utopico” altamente positivo, al di fuori del quale, una volta usciti per tornare in cella (specchio attraversato), si viene catapultati, però, nella realtà distopica del pianeta carcere.
È su questo presupposto che è stata costruita la partecipazione della Rete alla XXXV edizione del Salone internazionale del Libro con un programma, organizzato e condiviso con il Salone “Il carcere e lo specchio. Due giornate di discussione intorno alla pena e al diritto”, con il quale la Rete porta il carcere fuori dal carcere, su una ribalta internazionale (l’altro importantissimo palcoscenico internazionale sul quale saranno gli studenti ristretti, a luglio, è il Festival dei Due Mondi di Spoleto). L’utopia legherà i momenti di partecipazione al Salone: nel pomeriggio del 21 maggio, nella Sala Blu, si svolgerà una Tavola rotonda sul carcere, tra giustizia e riparazione; nella serata del 21 maggio, sul Palco Live, ci saranno gli studenti e attori “ristretti” della #Compagnia SIneNOmine che, ispirati da Shakespeare, Caroll, Neruda, Poe, Pessoa, Freud e numerosi celebri scrittori, metteranno in scena i testi nati dai loro sogni ad occhi aperti; nella mattinata del 22 maggio, nella Sala Rossa, con gli scrittori di “Adotta uno scrittore in carcere”, che quest’anno hanno incontrato i detenuti di 14 carceri di sei regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Piemonte, Puglia, Veneto); tra fine mattinata e primo pomeriggio del 22 maggio, nella Sala Rosa, si svolgerà una Tavola rotonda “Perché è tutto in una lingua che non conosco. Il tempo e lo spazio della cultura in carcere”, articolata in due momenti: “Studiare dentro”e “Quando sono i non-detenuti a varcare la soglia del carcere”.
Incontro emozionante, quello tra lettura, teatro, biblioteca e carcere, un’utopia che, pur se solo in parte realizzata, ha scoperto scenari inediti e nuove prospettive, sino ad incidere profondamente sul Programma nazionale di innovazione per l’esecuzione penale, presentato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel luglio scorso, nel quale si prevedono interventi in favore dei detenuti che tengono conto dei progetti realizzati dalla Rete. Attraverso l’azione costante dei docenti e con il bagaglio di esperienze per garantire il diritto di accesso della popolazione detenuta al patrimonio culturale della comunità, infatti, in questi 11 anni i docenti e studenti “ristretti” della Rete, con l’obiettivo di rendere istruzione e cultura centrali nell’esecuzione penale, sono riusciti a porre all’Amministrazione penitenziaria attività “trattamentali” per il reinserimento qualificato dei “ristretti”, grazie all’intenso coinvolgimento degli studenti, coinvolti in un percorso che li vede attori consapevoli delle proprie scelte future. Ciò non significa che il progetto complessivo sia realizzato: le difficoltà di portare nel quotidiano penitenziario quanto ottenuto attraverso il Programma nazionale per l’esecuzione penale, sono enormi perché, come recita il titolo della sessione pomeridiana del seminario del 22 maggio al Lingotto Fiere “Perché è tutto in una lingua che non conosco. Il tempo e lo spazio della cultura in carcere”, è proprio nella quotidianità del carcere, più che nelle norme scritte, che si sconta la difficoltà del cambiamento che la Rete sta incessantemente promuovendo per passare da una cultura della pena come “controllo” ad una cultura della pena come “conoscenza” del detenuto. Come accade a molti dei docenti e volontari (e a me stessa dopo 24 anni di insegnamento in carcere), ogni volta che si varcano i cancelli dell’istituto di pena in cui si svolge la nostra attività, ci si sente “respinti”, come immigrati alla frontiera di un paese straniero, persone non gradite, forestieri che parlano una lingua diversa e incomprensibile, non come risorse che permettono all’istituto di realizzare quanto pure previsto dall’Ordinamento Penitenziario “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e assicurare il rispetto della dignità della persona. […] Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari. […]Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi” (art 1 Trattamento- Legge 26 luglio 1975 n. 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
Anna Grazia Stammati presidente CESP
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