Nel quinto capitolo de “I Fratelli Karamazov” ritroviamo un brano da brividi, che vale ancor più oggi, viste le immagini di guerra e di dolore.
Parlo di un notissimo scambio di battute che tocca la domanda sul senso del male, della sofferenza, del dolore.
Ma non del male in senso generale.
Qui il tema è la “sofferenza inutile”, quella che tocca i bambini, cioè gli innocenti per antonomasia.
Nel dialogo fra Ivan e Alesha, Dostoevskij fa dire ad Ivan: “Io non parlo delle sofferenze degli adulti, loro hanno mangiato il frutto proibito e se ne vadano pure al diavolo, che il diavolo se li porti tutti quanti, ma i bambini, i bambini… Però i bambini: come la mettiamo con i bambini?”.
Noi adulti, cioè, siamo tutti, in diversa misura, corresponsabili della vita di tutti, ma i nostri bambini no, loro sono ancora, ha voluto insistere lo scrittore russo, puri, cioè non inquinati, per così dire, dai pregiudizi, dalle degenerazioni sociali.
Il tema da brividi, dunque, ci coinvolge tutti: perché è stato possibile, perché ancora avviene che gli innocenti siano toccati dal male, da tutte le forme di male?
Se poi a ribadire questa verità è un russo, un grande della letteratura non solo russa, ma di tutta la storia della letteratura, la cosa ci fa dire come sia possibile che gli stessi russi possano restare indifferenti alle immagini della guerra, compresa la morte di tanti bambini. Ovviamente, non solo di questa guerra ma di tutte le guerre e violenze.
Per cui sconcerta la decisione presa dall’Università Bicocca di Milano di chiudere, per ragioni, diciamo così, di opportunità, un corso su Dostoevskij di Paolo Neri, di cui ricordo una sua biografia sul grande russo uscita da Mondadori solo pochi mesi fa. Una decisione quasi subito poi ritrattata, vista la grande reazione di protesta.
Anche perché, se c’è un profeta inascoltato del nostro tempo è proprio Dostoevskij.
Il quale ci ha insegnato e testimoniato, nel suo complicato percorso di vita, che la salute dell’anima viene prima degli accadimenti storici e naturali, e che l’inclinazione verso il male nasce dentro di noi prima di esplodere fuori di noi. E nasce dentro di noi quando l’ego, fatto di istinto e di volontà, diventa l’unica risorsa, l’unico senso della vita, di contro all’altro, agli altri, al “noi”.
L’enigma della “sofferenza inutile”, cioè del male, può trovare una qualche soluzione, una qualche via di salvezza?
Per lo scrittore russo non c’è soluzione, se ci limitiamo alla sola ragione, la quale è chiamata a costruire la nostra buona volontà.
La ragione, per lui, è necessaria, ma non sufficiente. Perché risolvere il male in funzione del bene, come in molti nella storia del pensiero hanno riflettuto, non dice tutto del male, considerandolo solo strumentale. Il male, cioè, resta un mistero.
Ed il mistero, sempre per Dostoevskij, lo possiamo sciogliere, e quindi in qualche modo comprendere, solo richiamando la croce di Cristo.
Ed il silenzio di Dio di fronte al male non è lo stesso silenzio di chi si dimostra insensibile alle sofferenze umane, bensì è l’opposto, come ci mostra Cristo, con la sua assunzione su di sé del mistero del male. Senza la croce non ci può essere alcuna espiazione e perdono, cioè l’invocazione di Dio misericordia.
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