Nessuna giustificazione per Israel è appropriata per tenere acceso il cellulare, nemmeno il timore di qualche evento, che difficilmente può accadere e proprio in quelle ore di lezione. Semmai si tratta del timore di perdere il controllo di quel che accade “fuori”, con l’esito di mettere in secondo piano quel che si sta facendo, l’evento non virtuale ma reale, fisico, concreto, cui si sta partecipando.
Gli esiti sono due.
Il primo è personale. Ci si mette in una situazione simile a quella di chi si droga: la dipendenza non produce effetti fisici immediati, ma quelli psicologici non sono meno devastanti.
Il secondo è collettivo: per effetto di “mimesis” tutti sono indotti a considerare più importante la propria connessione “esterna”.
Ora, continua il pedagogista, tutte le testimonianze dicono che questa prassi sta dilagando anche nel sistema dell’istruzione.
Se fino a qualche tempo fa dirigenti scolastici o insegnanti rigorosi erano intransigenti rispetto all’ingresso dei cellulari in classe, sembra che anche questo muro stia cadendo a pezzi. Cresce il numero degli insegnanti che entrano in classe, depongono il cellulare sulla cattedra, acceso e silenziato, ogni tanto danno un’occhiata allo schermo e sono attratti da una vibrazione che segnala una chiamata o l’arrivo di un messaggio.
La conclusione di Giorgio Israel è che i docenti dovrebbero dare l’esempio e sfruttare quell’ora di lezione per far “scoccare quella scintilla magica tra maestro e allievo capace di generare la passione per la conoscenza intesa come un processo aperto, fatto di continue domande e di questioni irrisolte, l’unico momento in cui il bambino o il ragazzo può conoscere e avvalersi della “potenza generativa” della scuola”.
Ma come potrà mai l’ora di lezione, scrive ancora Israel, assolvere tale funzione se il maestro, invece di pensare esclusivamente a trovare entro sé stesso l’energia e il desiderio di creare quella scintilla generativa, frammenta la sua presenza nel rapporto con un “fuori” e invita, neanche tanto implicitamente, i suoi allievi a fare altrettanto, a proiettare “fuori” la loro attenzione primaria? Come potrebbe una scintilla suscitare una fiamma su un tessuto completamente lacerato?”
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