Attualità

Il CESP sulla violenza contro le donne, epifenomeno di una cultura malata

“Il ruolo delle scuole nella lotta contro le discriminazioni di genere e la violenza maschile contro le donne“: questo l’argomento discusso in un convegno CESP (Centro Studi Scuola Pubblica) estremamente interessante nel suo primo incontro tenutosi lo scorso 15 novembre presso la Sala Nugnes del Comune di Napoli, un corso di formazione per docenti e ATA sulla violenza maschile contro le donne, come relatrici due esperte dei Centri Anti Violenza (CAV) della associazione Differenza Donna: Alessia D’Innocenzo e Cristina Ercoli. La sala era gremita di docenti e ATA che hanno seguito con vivo interesse partecipando al dibattito finale ben oltre il termine orario previsto.

Non solo sono stati esposti aspetti storici e giuridici del femminismo e della violenza sulle donne, allargandosi al funzionamento dei CAV, ma sono stati sviscerati anche aspetti psico-sociologici e culturali del fenomeno violenza, abbattendo una serie di stereotipi spesso veicolati dai nostri malaccorti e mal formati operatori dei media nazionali. Ad esempio risulta, da indagini e studi di settore accurati, che non esiste, alla base della violenza contro le donne, il ‘raptus’, che sembra quasi assolvere il reo né, come possibili cause, la rabbia o lo stress, ma neanche vale la malevola e capziosa curiosità sui comportamenti femminili che, si vuole insinuare, avrebbero potuto provocare il reato, come capita purtroppo spesso anche in sede giudiziale. Un aspetto che ha colpito molto è stata la sottolineatura che la violenza sulle donne non avviene affatto, come viene proposto, in un contesto di ‘conflitto’, perché il conflitto presupporrebbe una condizione di pari condizioni e opportunità che non sussistono quasi mai nella fattispecie di reato. Le donne vittime di violenza sono, infatti, spesso in condizione di ricattabilitá e dipendenza economica, oppure di intimidazione e minaccia, oppure ancora di plagio.

Agisce molto sulla impunità dei rei la banalizzazione/minimizzazione delle forme di violenza verbale, psicologica e fisica/sessuale, tanto da non essere talora percepita neanche dalle stesse vittime! Sono frequenti i casi di ragazzi o uomini che tendono ad attuare forme di controllo ossessivo e onnipervasivo, a partire dai cellulari, sulle proprie compagne, inducendo la costruzione progressiva d’una bolla solipsistica e asfittica da realizzare atrofizzando e troncando le relazioni della partner, che viene in tal modo a trovarsi del tutto isolata e ancora più indifesa: l’idealizzazione d’una relazione “speciale” ed “esclusiva” necessita, infatti, d’un soggetto sempre più debole, privato di occasioni di confronto e della capacità di responsabilizzarsi e gestirsi autonomamente. È inoltre forte l’influenza patriarcale ancora molto presente nei costumi delle nostre società, per la quale esistono ancora la percezione e le istituzioni del ‘pater familias’ e del notabile, quasi sempre maschio, soprattutto nei piccoli centri (le città vere e proprie sono pochissime in Italia) correlate ad una certa forma di ‘familismo’, per la quale i ‘panni sporchi’ si lavano in famiglia, sintomi, questi, di una totale inconsapevolezza dell’aspetto pubblico/politico del fenomeno violenza sulle donne.

Viene altresì premiato un certo tipo di mascolinità, rozza ed autoreferenziale, a danno di una più evoluta, empatica e in grado di valorizzare la propria componente femminile (Jung parlava di animus e anima in ciascuno di noi) e di gestire le proprie e le altrui emozioni. Una cultura fatta di cesure e di censure, a partire da quella che separerebbe la razionalità dalle emozioni, o la psiche dal soma, mascolinità da femminilità, l’individuo dalla alterità, per fare degli esempi, col risultato d’una società necrofila, afflitta da disagi ormai normalizzati, come l’analfabetismo emotivo o come l’incapacità di autocontrollo e di gestire le frustrazioni. 

Un’ultima annotazione su un aneddoto emerso al termine del CESP: una delle relatrici raccontava di un episodio capitato al figlio che si era trovato a camminare di sera tardi in una strada scura e isolata, poco dietro una donna, la quale, intimorita, aveva subito accelerato il passo. Il ragazzo aveva colto che si stava creando una situazione, assolutamente non voluta e neanche immaginata, in cui lui figurava come ‘predatore’, mentre la donna rientrava nel ruolo della ‘preda’! Turbato dalla situazione, rallentò immediatamente il passo, cambiando marciapiede per rassicurarla: anche a diversi di noi sarà capitato più volte un episodio simile, per reagire poi in modo analogo, cambiando persino strada e, magari, giungendo a imbarazzarsi (vergognarsi?) di essere uomini di questa società e di questa cultura.

Da non perdere, quindi, il secondo e conclusivo incontro previsto per il 14 dicembre a Salerno, presso Liceo “Alfano I”,  e per il 15 dicembre presso l’ISIS “Elena di Savoia” di Napoli.

Gabriella De Rosa e Aristide Donadio – COBAS Scuola Napoli

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