Severi giudizi sull’attuale politica scolastica durante il 34° convegno del Cidi a Roma. Oggi in Italia si contano circa 2 milioni di analfabeti, 15 milioni di semianalfabeti e altri 15 milioni di persone a rischio di diventarlo, un giovane su tre si accontententerebbe della scuola media. "Di fronte a certi dati le riforme in atto non possono bastare: sono state pensate in pochissimo tempo, in chiuse stanze e da poche persone". Tra le proposte elevare l’obbligo scolastico a 18 anni e allargare il tavolo di discussione.
Sono messaggi allarmanti quelli che giungono dalla tre giorni del 34.mo convegno nazionale del Cidi, il Centro d’Iniziativa Democratica degli Insegnanti, svolta dal 4 al 6 marzo presso la facoltà di Lettere e Filosofia di "Roma Tre", alla presenza di circa 600 insegnanti: al centro dei dibattiti gli interventi di studiosi e politici che conoscono da vicino il mondo dell’istruzione. Messaggi che inducono gli organizzatori a lanciare un appello al mondo della cultura contro "le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati".
La sintesi del convegno è nelle parole di Domenico Chiesa, presidente del Cidi: "la linea intrapresa dal Governo non ci piace, non va bene la riforma Moratti, non solo per la forma e nelle sue disposizioni ma per la filosofia che c’è dietro: un disegno liberista – ha affermato Chiesa – che di fronte al mondo del lavoro sempre più precario e povero culturalmente, considera la spesa per l’istruzione quasi un peso".
I docenti appartenenti al Cidi sostengono che di fronte alle grandi trasformazioni della modernità bisogna rivedere al più presto anche il concetto di istruzione: "la globalizzazione dell’economia e dei mercati, lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie che incidono, ogni giorno di più, nella vita e nel lavoro delle persone, ci chiedono di aumentare il livello medio di cultura degli italiani. Compito della scuola – dichiarano attraverso un documento unitario – è di permettere a un numero sempre crescente di cittadini l’accesso al sapere: dal possesso e capacità d’uso della lingua scritta e parlata, alle scienze e tecnologie, fino alle varie dimensioni dell’arte. Le riforme in atto e i tagli di risorse in questo settore non vanno però nella direzione auspicata".
La linea critica dei docenti contro le linee guida delle riforme è stata condivisa dagli esponenti politici, intervenuti a margine di un filmato contenente le interviste ad alcuni leader di partito per capire meglio qual è il loro impegno nei confronti dell’istruzione, della formazione e ricerca. "Alla politica chiediamo prospettive certe – ha detto Beniamino Brocca, responsabile nazionale delle politiche educative dell’Udc – occorre che la scuola acquisti una priorità nelle politiche economiche del Governo. Cosa che oggi non avviene. Molto si dice ma poco si fa; inoltre le riforme sarebbero più coerenti se avessimo un’idea strategica della formazione".
Anche secondo la senatrice Albertina Soliani (Margherita), esistono alcune necessità che devono porsi come obiettivi nella "risistemazione dei fondamentali della scuola, come l’accompagnamento dello Stato con norme e fondi e l’applicazione dell’autonomia scolastica". L’intervento dell’onorevole Alba Sasso (Ds) si è invece soffermato sul bisogno di eguaglianza e di adeguamento dei contenuti ai bisogni moderni: bisogna garantire, ha detto Sasso, "il diritto alla cultura e a una formazione qualificata per tutti; l’investimento in istruzione, formazione, ricerca e innovazione crea lavoro. Alla disoccupazione tecnologica si può far fronte solo sviluppando settori e aree nuove di ricerca e produzione. Chi più rinnova più crea lavoro. La scommessa della qualità è proprio nel raccordo tra sapere, lavoro, innovazione e ricerca".
Sulla stessa lunghezza d’onda i concetti espressi dai docenti universitari: secondo il rettore di Roma Tre Guido Fabiani la scuola "vive oggi un periodo dei più difficili della sua storia con il rischio di danni irreparabili. Ciò a causa di proposte legislative che vorrebbero rimodernare il passato ma in modo piuttosto contraddittorio e che sembrano quasi dettate da spirito punitivo. Sono il frutto di scelte politiche che ci allontanano dall’Europa. L’Università – ha concluso Fabiani nel suo intervento – si sta battendo per difendere tre suoi cardini: autonomia, libertà di pensiero e ricerca, relazione simbiotica tra ricerca e insegnamento. Ma quanto si può durare in queste condizioni?".
Benedetto Vertecchi, docente di Pedagogia Sperimentale dell’Università "Roma Tre" si è soffermato sulla connessione tra l’insegnamento della cultura a scuola e il profilo della popolazione: "In Italia, ma tendenzialmente anche in altri paesi europei, assistiamo ad una certa dispersione da parte della popolazione adulta delle conoscenze di base. Ciò avviene – ha detto Vertecchi – per due regioni. La prima è culturale: le capacità di base sono oggi meno necessarie per la soddisfazione delle esigenze di vita quotidiane. La seconda ragione è invece sociale: proprio l’alternarsi dell’uso di tali capacità di base le fa apparire quasi un "attributo di classe" provocando la nascita di una nuova classe sociale: quella di chi detiene il "codice del sapere", diversamente dal resto della popolazione, che purtroppo è la maggioranza. Quel che serve oggi – ha concluso Vertecchi – è un progetto culturale, partendo dal portare l’obbligo scolastico fino a 18 anni, facendo coincidere il periodo della vita in cui si è socialmente protetti con quello della formazione. In questi diciotto anni bisognerebbe creare il "bisogno di conoscenza" e la consapevolezza che la conoscenza è necessaria per poter continuare ad apprendere anche durante il resto della vita".
Nella giornata conclusiva del convegno, il Cidi ha presentato alcune proposte prioritarie per contrastare l’attuale gestione della scuola pubblica. Uno dei progetti è proprio quello di elevare l’obbligo scolastico fino a 16 anni, per arrivare poi gradualmente ai 18. Ma l’iniziativa più rilevante e è rappresentata dell’appello lanciato dai docenti del Cedi al mondo della cultura contro le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati: "le indicazioni contenute nella riforma della scuola – spiega il Cidi attraverso un documento ufficiale – devono essere condivise e di alto profilo culturale; quelle volute dal ministro Moratti, invece, sono prive del necessario respiro culturale-progettuale e soprattutto rischiano di far arretrare irreparabilmente la nostra scuola, interrompendone lo sviluppo degli ultimi decenni. A tutto ciò non si può rimanere indifferenti".
Secondo i rappresentanti del Cidi i contenuti delle riforme in atto nel mondo della scuola sarebbero "state pensate in pochissimo tempo – denunciano nel documento-appello al mondo della cultura – in chiuse stanze, da poche persone, che non hanno cercato, né accolto osservazioni, critiche, punti di vista diversi, né hanno tenuto conto delle migliori pratiche scolastiche, dell’esperienza di chi nella scuola opera, delle competenze del vasto mondo della cultura e della ricerca: è la prima volta che questo accade nella storia della scuola della Repubblica". All’appello, che verrà consegnata al presidente della Repubblica, hanno già aderito molti intellettuali ed esperti di istruzione: Carlo Bernardini, Gilberto Corbellini, Tullio De Mauro, Giulio Giorello, Umberto Guidoni, Margherita Hack, Dacia Maraini, Paolo Sylos Labini, Luigi Spaventa e Sergio Zavoli.
L’ultima richiesta formulate dal Centro d’Iniziativa Democratica degli Insegnanti si incentra su una riforma della scuola da realizzarsi con un tavolo di discussione il più possibile allargato e "che coinvolga tutto il mondo del sistema dell’istruzione e le forze politiche". Al convegno, quest’anno dedicato a Giuliana Sgrena, è giunto anche il messaggio di auguri del presidente della Repubblica: "I docenti – ha scritto Carlo Azeglio Ciampi – devono valorizzare la funzione della scuola, luogo del sapere e della progettualità, canale privilegiato per trasmettere alle giovani generazioni, l’identità, le tradizioni, i valori della nostra società".
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