La risposta sul clima di conflitto nella scuola è concentrata nel libro, “Gli equilibristi. La vita quotidiana del dirigente scolastico: uno studio etnografico”, finanziato dalla Fondazione Agnelli e pubblicato da Rubettinoebook, l’autore è Massimo Cerulo, sociologo dell’Università Perugia.
Ed è lui che rilascia una intervista pubblicata su Vita.it dove il sociologo, che ha seguito come un’ombra un gruppo di dirigenti, spiega innanzitutto il suo metodo: “Si chiama shadowing, ed è una tecnica di analisi qualitativa dove, se non tutto è rappresentativo, in queste osservazioni qualitative ci sono elementi significativi che sicuramente saranno presenti anche in altre future osservazioni. Naturalmente bisogna porre attenzione al campione, che è a scelta ragionata: nord, sud, uomo, donna, città, provincia, tipo di scuola”, mentre l’età dei presidi oscilla fra i 55 e i 65 anni, perché “in Italia, purtroppo, abbiamo dirigenti e docenti piuttosto anziani”.
Ma qual è la scoperta del sociologo, quella che genera il conflitto a scuola e quindi l’emergenza?
“La prima sorpresa è che i dirigenti – ma poi tutti li chiamano ancora presidi – fanno tanti di quei mestieri che è impensabile da fuori. Io non immaginavo. Il dirigente veste ogni giorno mille maschere, mille ruoli: fa l’avvocato, l’investigatore, il counsellor, il mediatore culturale, l’esperto di ingegneria, il questuante. È una situazione di perenne emergenza: poiché mancano i fondi per chiamare esperti e poiché il dirigente ha comunque un carico di responsabilità di cui deve rispondere, il dirigente fa personalmente tutto e di tutto”.
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E se non delegano il motivo sta nello “scollamento tra il dirigente e il presunto ufficio di staff che dovrebbe aiutarlo e in questo senso anche le novità introdotte con la buona scuola non mi sembrano cogliere nel segno. Non è che il dirigente non deleghi, piuttosto quello che ho visto è che gli altri stanno molto attenti a non assumersi responsabilità di cui poi dovrebbero rispondere. Il preside utilizza abbastanza la delega, ma alla prova dei fatti questa non viene recepita: non ne faccio una colpa dei collaboratori, parliamo pur sempre di docenti, non di tecnici, perché dobbiamo pretendere da una persona formata per insegnare che sia in grado di assumersi responsabilità amministrative o tecniche? Il problema è che nemmeno i dirigenti sono formati per farlo: lo fanno perché devono”.
Per esempio, racconta il sociologo, “mai avrei pensato che il preside debba fare anche l’avvocato in tribunale. È una cosa incredibile, ma è successo in tre casi su quattro. Se in una scuola capita un infortunio, l’assicurazione paga una quota, ma poi è prassi che la famiglia citi nuovamente la scuola in giudizio perché ritine che la quota sia bassa. L’Avvocatura dello Stato difende la scuola, ma al sud questo non succede perché c’è penuria di avvocati, quindi il preside va di persona in tribunale, fisicamente e legge quello che c’è scritto sull’atto difensivo mandato dall’Avvocatura dello Stato, senza avere nessuna competenza. In tre casi su quattro non esiste nella scuola uno sportello di ascolto e quindi il preside fa counselling: sta seduto come una spugna, ascolta le richieste, le pretese, le lamentele e gli insulti degli studenti, dei genitori, dei docenti, del personale ATA. A Cosenza ho assistito a una scena indimenticabile, con madre che ha iniziato insultando, è passata al pianto, e alla fine si è alzata ringraziando il preside, senza che questo abbia detto praticamente nulla durante tutto il colloquio. Questo sottare tempo al lavoro del dirigente e in più il dirigente non ha alcuna formazione specifica per farlo.
In pratica, continua lo studioso, il dirigente deve “indossare tante diverse maschere e il camminare davvero sul filo, come al circo. Cercando di non cadere. Perché se si cade si fa male il dirigente ma anche la scuola, i docenti, i ragazzi…. Il dirigente vive una grande solitudine, l’immagine che emerge dal campo è quella di un uomo solo al comando ma non nel senso che ha tanto potere o che lo gestisce in modo “dittatoriale”, bensì per il carico di responsabilità che gli gravano sulle spalle: se qualcosa va male è lui a doverne rispondere. Io davvero non credeva di trovare questa situazione. Osservare dal vivo la realtà della scuola ti fa capire come le analisi teoriche siano tutte monche”.
A seguito di tale esperienza, di conseguenze le proposte: “Comincerei a dare ai dirigenti un ufficio di staff degno di questo nome, con tecnici preparati. Il principio deve essere quello weberiano: l’uomo giusto al posto giusto e il docente non è formato per occuparsi di questioni edili, legali, psicologiche… L’idea è che il DS possa nominare a tempo, come consulenti, i tecnici che gli servono di volta in volta, come accade in politica. Ad esempio se ci sono molte cause prende un legale oppure uno psicologo, 2/3 tecnici assunti a consulenza che possano realmente coadiuvare il dirigente.”
“I presidi”, continua il sociologo, “non riescono quasi per nulla ad essere leader educativi, non ha il tempo materiale per farlo, perché le incombenze amministrative sono più grandi e pesanti, perché se lì sbagli ti arriva la citazione in giudizio e la causa. I dirigenti non hanno abbastanza tempo per riuscire a occuparsi di entrambi gli ambiti. In questo senso un vero staff di tecnici potrebbe aiutare, come pure la divisione delle strade, con due dirigenti: un DSGA, un direttore amministrativo che avrebbe tutto il carico delle responsabilità amministrative e un dirigente scolastico che sia leader educativo. Io ho trovato 4 DSGA molto competenti, ci sono anche casi in cui non è così: dovrebbero lavorare molto più a braccetto. D’altra parte il DSGA è una figura che esiste, dovrebbe essere preparata, perché non gli diamo uno status più ufficiale?
E allora, com’è davvero la scuola oggi in Italia?
“C’è un clima non positivo, questa è la cosa che più mi ha colpito. Un clima di astio, di conflitto manifesto tra docenti, docenti e DSGA, docenti e dirigenti. Pierre Bourdieu diceva che per studiare i gruppi scoiali occorre partire dal presupposto del conflitto: nella scuola è proprio così, ci sono quelli che cercano di mettersi in mostra, di raggiungere dei fini e quelli che subiscono e il Dirigente deve mediare. La scuola è quotidianità di conflitto”.
“Io non so quanto la scuola sia per gli studenti, mi sembra più centrata sui docenti e sulle loro esigenze professionali. Ho visto pochi docenti nutrire passione verso i ragazzi. A Treviso, una scuola di oltre mille studenti, il preside mi ha mostrato sconsolato il foglio orario: su decine di docenti, solo 2 avevano dato la disponibilità a fare la 19esima ora. Tutti si sono rifiutati. C’è disaffezione non verso la scuola ma verso l’ambiente scolastico, che è diverso, perché poi magari quelli insegnanti tornano a casa, studiamo, scrivono… C’è un problema di mancanza di empatia nell’ambiente scuola, di incapacità di fare ascolto attivo. Se non c’è questo clima in cui tutti si sentono parte di un progetto comune, è difficile che la scuola sia una quotidianità produttiva. È compiuto del dirigente creare un ambiente empatico, propositivo, far sentire tutti attivi, ma se il DS non ha il tempo di occuparsi alla costruzione dell’ambiente, dell’interazione, allora ognuno va per conto suo, come particelle impazzite. Credo che l’emergenza sia davvero questa.
Il libro intanto sta facendo scalpore, con richieste di presentazione da parte di dirigenti. Uno degli obiettivi del libro era favorire l’autoanalisi
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