Insegnare dunque non è una scelta di vita, una sorta di vocazione che spinge gruppi di intellettuali a scegliere questo mestiere, ma un ripiego per trovare occupazione e sbarcare il lunario, ben sapendo che il salario, rispetto ai laureati di altri enti e di altri lavori, è più basso e con responsabilità di rilevo i cui esiti però purtroppo sono visibili negli anni.
Ed ecco allora che questo concorso appare lo specchio di ciò che la società di questi tempi riflette.
Tra i 320mila iscritti ci sono, oltre ai precari storici sballottati indecentemente da una scuola all’altra o licenziati alla bisogna, anche impiegati di industrie in sofferenza, che temono di perdere il lavoro, cassintegrati che il lavoro l’hanno già perso, professionisti che faticano ad arrivare a fine mese e disoccupati senza alternative.
Un rifugio, la scuola, dentro il quale si cerca sicurezza, al di là dell’impatto che una preparazione sommaria e la consapevolezza di non essere adeguati al lavoro del docente possa sussurrare nelle singole coscienze.
Ma diciamo anche di più: quante storie si nascondono dietro ognuna di quelle domande di partecipazione al concorso? E quante riflessioni dovrebbe fare la politica di fronte al fatto che l’età media di quella gente, che ha fatto a gomitate per entrare nel sistema informatico, per inoltrare la domanda e per concorrere, nel senso di correre insieme ad altri nella competizione, in prospettiva di ottenere il posto, risulta pari a 38,4 anni? Chi ha avuto il coraggio di dire, fra chi detiene i destini della nazione sedendo al Parlamento, che questo dato statistico è una vera ignominia? Età media di 38 anni significa che fra gli aspiranti c’è gente anche di 50 anni, con famiglia e figli da portare avanti, pronta a dichiarasi disponibile per cambiare, non già le sorti dell’istruzione italiana, ma la propria; e con costoro non possiamo che solidarizzare, perché il lavoro dà dignità e sicurezza nel futuro ed è anche la condizione più nobile dell’uomo, visto che lo stesso Creatore lavorò una settimana per poi riposarsi. E di fronte a questi dati il ministro Profumo, che ha sempre parlato di ricambio generazionale nella scuola secondo l’equazione insegnanti più giovani scuola migliore, deve ricredersi in un modo o nell’altro e magari dirci qualcosa.
E tutta questa pletora di persone, e quindi di umanità rintracciabile in 320mila domande per occupare appena 11mila posti distribuiti in due anni, non è forse un esercito attorno a cui accendere almeno un minimo di dibattito e di riflessione? E la politica, quella che litiga per mantenere i privilegi e che mette la scuola dinnanzi per non subire tagli a se stessa, come mai non ha avuto il coraggio o la sensibilità di leggere questi numeri e dire qualcosa, sussurrare una giustificazione, sibilare qualche scusa?