Il Miur è l’impresa italiana con il maggior numero di dipendenti, mentre la spesa per gestire questa macchina gigantesca è la quota dominante, se non esclusiva, per l’istruzione.
L’analisi dei finanziamenti all’Istruzione italiana è fatta dal Sole 24 Ore che, riportando i dati più recenti della Ragioneria dello Stato, con i preventivi per gli anni 2019-2021, ventila “una diminuzione ulteriore dei già risicati stanziamenti”.
Premesso, continua il giornale economico, che la spesa pubblica per l’istruzione è stata di 67,4 miliardi di euro, pari al 4,1% del Pil e all’8,1% della spesa pubblica, e quindi inferiori alla maggior parte dei paesi dell’Ocse, è presumibile pensare che “i decisori italiani non considerano la spesa per l’istruzione come un investimento, ma come un puro e semplice costo”.
Se il costo per portare uno studente dalla scuola dell’infanzia al diploma nella scuola statale “gratuita” è molto elevato, nel 2009 servivano 108.625 euro (122.775 con due ripetenze), la voce su cui c’è stato un maggiore risparmio sono stati gli insegnanti, calati dell’11% circa, e con gli stupendi praticamente bloccati.
Il ministero stima anche il costo delle ripetenze: un anno perso nella scuola secondaria di primo grado o negli istituti professionali costa tra 6 e 7mila euro, molto di più un anno perso nella secondaria di secondo grado, che si aggira sugli 11.500 euro. Portare alla laurea un ragazzo, significa “una spesa annua per studente pari a 11,257 euro, contro una spesa media dei paesi Ocse di 15.656”.
Calcolando cinque anni di percorso netto (ma il tempo medio di laurea è di oltre sette) arriviamo a 56.285 euro, che aggiunti ai precedenti 89.336 danno un totale, sempre stimato, di 145.621 euro, a cui andrebbero aggiunte le spese delle famiglie, mentre per l’università stime fatte calcolano per i fuori sede in 8-10mila l’anno più le rette, che per le università statali sono proporzionali al reddito, e hanno un valore medio di circa 1600 euro per il triennio e 1800 per la laurea magistrale.
Fra l’altro il centro studi Confindustria stima che ogni anno “esportiamo” capitale umano che ci è costato 5,6 miliardi di euro, cioè quasi un decimo di tutta la spesa per l’istruzione. Se aggiungiamo i costi sostenuti dalle famiglie che mandano i figli nelle istituzioni non statali, che hanno rette elevate, ma minori dei costi sostenuti per i ragazzi “statali”, abbiamo un quadro ancora più negativo.
“Qualsiasi politica seria sulla scuola –chiosa Il Sole 24 Ore-dovrebbe partire da un’ accurata disamina delle risorse umane e finanziarie impegnate per la formazione dei propri giovani. E invece questa disamina semplicemente, non esiste”.
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