Si cerca di invertire l’onere della prova, di scaricarlo su altri e incalzarli a cercare giustificazioni quando si sparano (formulano con falsa ingenuità) domande come:
oppure
Chiaramente viene omessa qualsiasi giustificazione al paragone proposto sanità-scuola per cui il costo standard dovrebbe transitare tranquillamente dall’una all’altra quasi come un vinello dal fiasco alla bottiglia o al bicchiere!
Altro aspetto del costo standard è quello relativo al suo senso, significato, utilità ed altro. La storia comincia con la “spending review”, neologismo accattivante (?), che dovrebbe ridurre le spese dello Stato, cioè tagliare come avvenuto con la sanità e con la scuola. Ecco il “costo standard” è strumento della spending review:, che rare volte riduce davvero gli sprechi, altre volte serve solo a camuffare (v. Yoram Gutgeld) cioè a spostare risorse da un capitolo all’altro o anche da uno spreco all’altro.
Nella sanità il costo standard è stato introdotto, circa 10 anni fa, con aspettative di efficienza e miglioramento, ha richiesto chiarimenti, approfondimenti, discussioni per poi scoprire che non funzionava e che c’era già ed era la quota capitaria!
In ambito scolastico, l’ipotesi costo standard nasce dalla ricerca, da parte delle scuole paritarie private, di un percorso alternativo e tortuoso per aggirare furbescamente la disposizione costituzionale “senza oneri per lo Stato”. I gestori delle scuole paritarie devono aver cominciato a pensare al costo standard circa 5 o 6 anni fa, poi nel 2014 in occasione della finta consultazione renziana sul ddl 2994, il costo standard viene inserito fra le proposte approvate e nel 2015 gli viene dedicato il volume (più pamphlet che saggio) “Il diritto di apprendere” che da allora viene presentato ed esaltato quasi come un altro Vangelo. Il costo standard assume così veste scientifica pregevole e innovativa anche se è complicato e complesso da determinare, ne viene proposta l’adozione sia alle scuole pubbliche che alle private con asseriti vantaggi: 1) di risparmio (fino a 17 mld, ora riconsiderati e ridotti a 2,8); e 2) di miglioramento qualitativo conseguente, grazie all’avvio di virtuosa concorrenza fra scuole (entrambe idee fisse non dimostrate, immaginari passe-partout miracolosi e risolutivi).
Come per la sanità, anche per la scuola si viene ora a scoprire che il costo standard altro non è che una normale e più comprensibile “quota capitaria”.
Lo troviamo nel blog cattolico “Riflessioni” del 7 giugno scorso che riporta il documento del Consiglio Nazionale Scuola Cattolica della CEI dal titolo “Scuola cattolica. Autonomia, parità, libertà di scelta educativa” dove possiamo leggere “1. Quota capitaria per tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione / La via maestra per assicurare un’effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche e una reale parità scolastica passa dalla riorganizzazione del finanziamento dell’intero sistema nazionale di istruzione (scuole statali e paritarie) attraverso la definizione di una quota capitaria, ossia una determinata somma per ogni alunno frequentante la scuola”.Chiarissimo! Non serve nascondersi o mascherarsi con il “costo standard di sostenibilità per studente”, dove “sostenibilità” risulta semplicemente ridicola se riferita a quanto poco investe l’Italia in istruzione.
Peraltro, costo standard o quota capitaria, la disposizione della Costituzione è chiarissima e – giusta o sgradita che sia – non può essere aggirata con una triangolazione Stato-Famiglia-Scuola privata.
Le lenticchie del titolo? Anni fa in un buon ristorante del Veneto, nel menù ci venne proposto “Soupe Hiroshima”: niente altro che una zuppa di lenticchie normali, nemmeno di Castelluccio di Norcia!
di Vincenzo Pascuzzi
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