Il costo standard per permettere la cosiddetta libertà di educazione? Una invenzione machiavellica per finanziare le scuole private, dimenticando che il bonus, da erogare a tutte le famiglie per scegliersi la scuola, dove educare i figli secondo i principi che la stessa professa, può trasformarsi in un ottimo solvente per sfilacciare ancora di più e dilaniare una società ormai multiculturale, con forti diseguaglianze e strappi etnici.
E allora ogni comunità religiosa, etnica, culturale, sociale e perfino politica dice ai suoi proseliti: costruiamoci una scuola a nostra immagine e somiglianza, formiamo un fortino ideologico e al momento opportuno assaltiamo le altre fortezze con le nostre argomentazioni.
Ma non solo: aggiungendo, e chi più ne ha più ne metta, fondi ai fondi dello Stato, ci facciamo scuole private extralusso e con prof ultra-decorati, cosicchè le differenze di classe e di censo si allarghino così tanto da risultare alla fine del tutto incolmabili, fomentando perfino l’odio ideologico.
Perchè il punto, con tale sottile principio del costo standard, è sempre quello: chi ha più soldi aggiunge soldi ai soldi erogati dalla Stato; chi non ne ha, deve accontentarsi di tutto ciò che trova nella struttura più vicina.
In altre parole lo Stato etico, quello nato dalla Rivoluzione francese e dai principi di Eguaglianza e di Libertà, dovrebbe dare soldi a ciascun cittadino per iscrivere il figlio in una scuola privata che trasmetta i principi ideologici, politici, religiosi, etnici a lui più cari? In teoria, anche in un condominio potrebbe nascere la scuola, ma pure tra quelle Town (ghetti?) o quartieri invasi da extracomunitari di tutte le nazioni, anche perché la libertà di educazione pretende che l’insegnante sia delle stessa corrente di pensiero di chi lo sceglie, altrimenti che bello c’è? Potrà mai affidare un cattolico il figlio a una scuola creata da islamici?
Ma a parte ciò, il costo standard, secondo uno studio della Fondazione Agnelli, ha in se tre vulnus metodologici e di cui già ci siamo occupati:
primo, calcolare il costo standard è un esercizio estremamente complesso: la letteratura economica suggerisce una varietà di metodi, pochi dei quali hanno finora dato risultati solidi, stimando le determinanti del costo standard a livello di singola scuola, ma gli esiti non sono stati soddisfacenti;
secondo, la nozione stessa di costo standard perde significato se non è abbinata a un certo livello di prestazione, ritenuto essenziale, da parte delle scuole: questo comporta che si definisca e si misuri un obiettivo di performance delle scuole, a fronte del quale va calcolato il costo minimo per conseguirlo. Ma quale sia questo obiettivo – un livello di apprendimento, un tasso di dispersione, un grado di socializzazione, un stadio sviluppo della personalità – non è affatto ovvio e pone interrogativi non banali sullo scopo stesso della scuola;
terzo, il concetto di costo standard non riflette un costo medio per allievo pari a circa 7.000 euro come sostenuto, ma un costo marginale o incrementale di lungo periodo. La domanda da porre è: quanto costerebbe allo Stato inserire un allievo in più nelle proprie strutture? Infatti, non avrebbe senso rimborsare alle scuole paritarie le componenti di costi fissi di sistema che lo Stato già sostiene: l’attività delle amministrazioni centrali e regionali (circa 200 milioni), il mantenimento del sistema informatico (600), la partecipazione alle indagini internazionali (125) e così via.
A parte la scuola dell’infanzia, il costo dell’inserimento nella scuola di un 5% circa di allievi in più che frequentano le paritarie (dal 6,9% delle primarie al 4% delle medie) sarebbe nettamente inferiore alla richiesta formulata dalle scuole paritarie.
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