Credo che meriti ampia diffusione il volume “LETTERA AI POLITICI SULLA LIBERTÀ DI SCUOLA, di Dario Antiseri e Anna Monia Alfieri, volume agile che ha un duplice vantaggio: argomenta la proposta avanzata del “costo standard” per ogni studente e dimostra, documenti alla mano, come l’Italia sia in una situazione di grave eccezione in ordine alla scelta educativa che spetta, incontrovertibilmente, ai genitori e agli alunni.
Il fascino del volume Antiseri-Alfieri sta nel proporre una via praticabile che permetta di garantire a genitori e studenti il diritto di autodeterminazione culturale, superando l’inutile e non fondata contrapposizione tra scuola gestita dallo Stato e scuola non gestita dallo Stato.
Infatti, quanti ostinatamente si oppongono, in ogni contesto, a tempo e fuori tempo, alla parità tra le scuole gestite dallo Stato e quelle non gestite dallo Stato, hanno ripreso a recitare gli stessi slogan: è un attentato alla scuola di Stato, si vuole privatizzare la scuola, si deve investire di più nella scuola pubblica, si va contro l’articolo 33 della Costituzione che vieta ogni intervento a favore delle scuola non statali. E si potrebbe continuare con le esclamazioni.
Ebbene, sulla necessità di un maggior investimento nella scuola pubblica è meglio tacere. Infatti, come si fa a sostenere che lo Stato debba spendere ancora di più per le proprie scuole quando già utilizza i soldi di tutti in modo almeno discutibile? Come definire, infatti, il modo di spendere dell’attuale scuola statale? Oggi uno studente costa a tutti i cittadini circa dieci mila euro l’anno: non è una cifra da capogiro visto i risultati prodotti dall’attuale scuola statale? Occorre investire di più o sperperare di meno il denaro di tutti? Non sono percorribili strade diverse per permettere a tutti di poter scegliere la scuola secondo il diritto costituzionale che afferma “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”? Quale libertà, di fatto esiste, oltre il monopolio dell’intervento dello Stato? Il volume di Antiseri-Alfieri propone una strada percorribile. Discutendo del volume citato, in più sedi e diversi contesti, ho avvertito una sola obiezione: la proposta del “costo standard” andrebbe contro il “senza oneri per lo Stato”. L’obiezione mi ha spinto a rivisitare brevemente la storia di quell’inciso.
Un inciso… non tutta la Costituzione!
Sull’inciso “senza oneri per lo Stato” spesso si discute dimenticando, però, l’intenzione di chi lo propose e il come esso è entrato nella Costituzione, e il senso che assume nel quadro di tutta la Costituzione. All’Assemblea Costituente, circa l’art. 33, la proposta di Dossetti e altri (che non prevedeva l’inciso “senza oneri per lo Stato”) non intendeva entrare nel merito di possibili finanziamenti alle scuole non statali. A ciò avrebbe dovuto provvedere, in seguito, il legislatore ordinario. Affermava lo stesso Dossetti (29 aprile 1947): “Non abbiamo mai inteso con questo testo risolvere il problema di eventuali aiuti economici dello Stato alla scuola non statale, ma garantire a questa la libertà e la parità dei suoi alunni rispetto a quella statale”. Dunque, la proposta di partenza, sulla quale i Costituenti erano d’accordo, non prevedeva l’inciso “senza oneri per lo Stato”.
Dopo discussioni, emendamenti, i primi tre commi dell’articolo passarono senza problemi con un consenso unanime! Giunti al 4° comma, tutto lasciava intendere che esso sarebbe passato come era stato proposto (senza, cioè, l’inciso “senza oneri per lo Stato”). La discussione sul 4° comma venne sospesa per la presentazione, da parte del ministro degli esteri Sforza, di una proposta di legge. Riprendeva, quindi il dibattito sul comma 4°. A questo punto veniva riferito che era stato depositato, da parte degli Onn. Corbino, Marchesi, Preti, Codignola ed altri un emendamento: quello, appunto, che riguardava il “senza oneri per lo Stato”. Solo l’on. Gronchi chiese per due volte chiarimenti sull’intenzione di tale emendamento. Corbino e Codignola dissero apertamente che l’emendamento non era “preclusivo” degli aiuti finanziari ma ne negava soltanto l’automatismo rispetto al diritto di istituzione “di scuole e istituti di educazione”. Ecco il testo integrale delle dichiarazioni degli Onn. Corbino e Codignola.
Corbino: “Vorrei chiarire brevemente il mio pensiero. Forse, da quello che avevo in animo di dire, il collega Gronchi avrebbe capito che le sue preoccupazioni sono infondate. Perché noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. E’ una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare”.
Codignola: “Dichiaro che voteremo a favore, chiarendo ai colleghi democristiani che, con questa aggiunta, non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato a scuola confessionali: si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto. Questo è bene chiarirlo” (Atti Ass. Cost. 29 aprile 1947, pagg. 3378 sgg).
Una prospettiva di lettura
Come si potrà notare, Corbino parla di scuole private e Codignola di scuole confessionali. Nulla viene detto delle scuole parificate. Il dato non ci sembra insignificante per una corretta lettura dell’inciso. Esso, stando ai Costituenti, dovrebbe riguardare le scuole private e confessionali. Ci sembra significativo il fatto che nella Costituzione non si parli di scuole confessionali ma solo di suole statali, parificate, non statali. Anche questa distinzione non è di poco conto. Essa ci permette di dire che le spese sostenute per la frequenza di un istituto non statale non cadono sotto l’inciso “senza oneri per lo Stato”. Esse, infatti, non sono “oneri per lo Stato” ma modalità diverse di spendere ciò che lo Stato già spende. Con un vantaggio per la libertà di tutti. Libertà tanto sbandierata quanto temuta.
E se tale libertà non sarà garantita praticamente, economicamente, strutturalmente, si arriverà ad avere cittadini ritenuti legittimi (quelli delle scuole statali) e cittadini illegittimi (quelli delle scuola non statali).
Tre provocazioni
Ci sembrano più che mai attuali tre provocazioni che non possono essere liquidate con facili slogan statalisti. Il filosofo ed epistemologo L. Infantino insiste, circa la necessità di una reale parità tra scuole statali e parificate, sulla logica della competitività e sostiene che una “società aperta” è tale solo se accetta la competizione: la competizione, afferma, è il nome che diamo alla libertà. Per questo una scuola organizzata e gestita monopolisticamente non è quindi in sintonia con i principi della “società aperta”, della democrazia. E’, al contrario, una “nicchia protetta”, che produce danni a se stessa e alla collettività, perché rinunzia al confronto, all’adeguamento continuo della propria organizzazione alle esigenze del Paese, e rende -di fatto- alla società un dis-servizio.
A sua volta, l’economista A. Martino, dimostra come l’attuale sistema statalista penalizza i meno abbienti: “l’intervento dello Stato viene in genere invocato per garantire uguaglianza di accesso ai servizi pubblici “essenziali” per tutti i cittadini. Tuttavia, dal momento che lo Stato fallisce nello scopo di garantire servizi soddisfacenti per tutti, lascia aperta solo a chi se la può permettere la possibilità di sottrarsi ai suoi servizi: “Introdotto per garantire uguaglianza di accesso, il sistema statalista finisce così per determinare disuguaglianza di uscita”.
A sua volta il sociologo A. M. Petroni sostiene, tra l’altro, che dietro l’attuale sistema scolastico italiano è presente l’idea dello Stato etico, di uno Stato che ha il diritto di formare le menti dei propri cittadini/sudditi, sottraendo i giovani alle comunità naturali e volontarie, prime fa tutte quella della famiglia.
Se ci sta a cuore la scuola, la libera scuola, non si può non convenire con questi argomenti. Accogliendo il severo monito di Sturzo: “Finché la scuola in Italia non sarà libera, nemmeno gli italiani saranno liberi…”: questo egli scriveva nel 1947. Un’affermazione più che mai attuale e che chiede di ripensare il problema della libera scuola in un’ottica diversa: non concessione fatta a qualcuno ma diritto di ciascuno a scegliersi la scuola che ritiene più idonea per la propria formazione.
Una considerazione, per concludere. Ho letto e studiato ampia documentazione sul tema-problema sollevato dal volume Antiser-Alfieri. Ebbene, ho notato che nel commento all’art. 33 della Costituzione una strana situazione: c’è chi ne fa una lettura letterale, avulsa da tutta la Costituzione; altri, invece, contestualizzano e ammettono una possibile pluralità di letture. Mi chiedo: se la lettura del citato articolo della costituzione può essere letto in più prospettive, perché -di fatto- è prevalsa la sola linea della scuola di Stato? Perché non sono state ammesse altre modalità che garantissero una reale libertà educativa?
Ebbene, LA LETTERA AI POLITICI SULLA LIBERTÀ DI SCUOLA indica un percorso possibile. Rifiutarlo e invocare più soldi solo per le scuole dello Stato significa ostinarsi su di un versante che segnerà il disfacimento progressivo delle stesse.
Arcangelo Bagni
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