La scuola forse avrebbe bisogno di una nuova e più radicale riforma, perché con l’esplodere della pandemia ci si è accorti della sua fragilità, ma anche della sua importanza, considerato pure che i genitori di 26 milioni di famiglie italiane, in vista del 4 maggio, dovranno andare a lavorare e non sanno dove e come lasciare i figli soli a casa.
Ma non è una questione di parcheggio scolastico, ma soprattutto di non penalizzare ancora di più il lavoro femminile, messo a durissima prova dalla gestione familiare, e anche di preparazione dei giovani ad affrontare il futuro con maturo impegno, mentre una scuola sempre aperta è pure il segnale che lo Stato ha a cuore la salute culturale dei suoi cittadini.
In altre parole ripartire dalla scuola significa essenzialmente ricostruire ripartendo dalla scuola, con investimenti mirati sulla sanificazione e sulla sistemazione degli edifici scolastici, con una svolta a 180 gradi sulla didattica a distanza, attraverso cui si è afferrato che gli insegnanti sono stati mandati letteralmente allo sbando, mentre bambini e ragazzi lasciati alle disponibilità economiche e alle dotazioni tecnologiche dei propri genitori.
E non solo, ma occorre riformare essenzialmente l’idea che la scuola sia il primo servizio più sacrificabile alle esigenze della Nazione, sia quando è aperta sia quando è chiusa.
Infatti quando è aperta è però chiusa al sociale e al territorio, mentre ogni occasione è buona per chiuderla a cominciare dalle allerte meteo agli scioperi, dalle elezioni nazionali, comunali, regionali e referendari fino al Covid-19 sul cuio altare è sgtata sacrificata per prima, considerato pure il suo precario stato strutturale.
“Provate a dire a un imprenditore che deve tenere l’attività chiusa per un po’ di nevischio sulle strade. Provate a dire a un dipendente che non percepirà due o tre giorni di paga, perché ci sono le elezioni. Provate a dire alla gente che sabato e domenica i supermercati sono chiusi. Eh! Ma cosa centra? Non puoi mica paragonare servizi essenziali come questi!!! Appunto”. E appunto la scuola non è mai stata considerata un servizio essenziale, se reali sono stati i tagli, la mancanza di una politica edilizia, di un arruolamento rigoroso del personale e di conseguenza di un corretto e primario riconoscimento sociale dei suoi operatori.
Perché in fondo, tutti gli esperti virologi, scienziati, tecnici ecc., ma anche politici, prima di diventare tali sono passati dai banchi della scuole, dai registri, dalle interrogazioni, dai compiti e dai rimbrotti dei loro insegnanti, quelli ai quali appunto si dovrebbe riconoscere il merito incommensurabile di avere dato il maggiore contributo alla lotta odierna contro il male che però ha messo in ginocchio per prima proprio l’istruzione.
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