Non è chiaro se l’appena insediato governo Draghi con il nuovo Dpcm volesse davvero mettere nelle condizioni le Regioni di decidere in piena autonomia sulle scuole: fatto sta che nelle ultime ore, con la sola Sardegna caratterizzata da un rischio Covid basso, le risposte dei governatori sono diventate iper soggettive. Tanto da ritrovarci con delle Regioni che stoppano la didattica in presenza pur facendo riscontrare nei loro territori un numero di contagi inferiori di altre Regioni, dove invece si lasciano le classi aperte.
La discrepanza c’è. E gli addetti ai lavori cominciano a denunciarlo. “La frequenza o meno delle attività scolastiche deve essere ricondotta a criteri chiari, le situazioni vanno governate, non si possono ammettere improvvisazioni e un “fai da te”, alla ricerca di ogni possibile escamotage per trovare una propria individuale soluzione”, ha commentato all’Ansa la segretaria generale Cisl Scuola, Maddalena Gissi.
“La gestione di un’emergenza sanitaria richiede a tutti grande responsabilità, le decisioni devono essere fondate su competenze scientifiche e tradotte in indicazioni precise”, ha incalzato la sindacalista.
Visto che la discrezionalità sta portando a situazioni poco chiare, Gissi sembra chiedere al governo un intervento chiarificatore: “la gestione di un’emergenza sanitaria richiede a tutti grande responsabilità, le decisioni devono essere fondate su competenze scientifiche e tradotte in indicazioni precise”, ha concluso la leader della Cisl Scuola.
In effetti, come abbiamo avuto già modo di dire, la risposta delle Regioni appare davvero troppo multiforme.
Ci sono governatori che seguono la linea della massima prudenza, ribadita il 5 marzo dal professore Massimo Galli, virologo dell’ospedale Sacco di Milano, secondo il quale le attività didattiche in presenza vanno fermate perché “nelle scuole ci sono bambini e ragazzi concentrati per diverse ore al giorno in una situazione di necessaria vicinanza che finisce per determinare la diffusione dell’infezione, che negli esercizi commerciali può essere gestita diversamente”.
Lo stesso giorno, i rappresentanti delle Regioni e dei comuni hanno incontrato alcuni ministri, tra cui quello dell’Istruzione Patrizio Bianchi, il nuovo commissario per l’emergenza Francesco Figliuolo e il capo della Protezione civile Fabrizio Curci.
Al termine dell’incontro il presidente facente funzione della Regione Calabria Nino Spirlì ha detto che “la scuola non è l’aula! Le aule non possono essere considerate il luogo più sicuro del pianeta. Come tutti i luoghi, anche le aule scolastiche possono trasformarsi in luoghi di contagio”. Quindi, “dobbiamo evitare che il contagio si propaghi”.
Le lezioni in presenza della Calabria, fino all’Università compresa, sono state così fermate, partire da lunedì 8 marzo per due settimane. La disposizione – presa dall’Unità di crisi – verrà ratificata da una specifica ordinanza: le lezioni in presenza si potranno attuare solo per alluni disabili gravi e per un numero limitato di ore.
Secondo Spirlì “Al momento, in Italia, nessuno può permettersi di interpretare dati e decisioni: parlano numeri e studi di previsioni. E non si può aspettare che il virus sfondi le porte delle case degli Italiani, per poi dover correre ai ripari”.
“Dobbiamo necessariamente prendere i provvedimenti del caso. Uno dei primi è questo: le scuole si fermano per due settimane“, ha spiegato ancora Spirlì.
Durante il periodo di chiusura, ha aggiunto il presidente ff della Regione, “inizieremo la vaccinazione del personale scolastico che si renderà disponibile. Nessuno entrerà a scuola, salvo i casi di comprovata disabilità. Il resto dei giovani studierà da casa con il collegamento a distanza”.
Anche Vincenzo De Luca, governatore della Regione Campania, si è detto allarmato. “Siamo di fronte ad una variante di estrema pericolosità – ha detto durante la diretta facebook settimanale – Si sono registrati nei nostri territori livelli di contagio enormi nel mondo della scuola“.
“La prima ragione dell’esplosione è questa, vi è una diffusione generalizzata di varianti Covid in tutta Italia e come era ampiamente prevedibile. La Campania è tra le regioni più esposte perché siamo la regione a più alta densità abitativa. La seconda ragione sono i comportamenti scorretti”.
Dello stesso parere è il governatore pugliese Michele Emiliano: in un post su vaccini e emergenza Covid, con il quale risponde ad una donna che chiede al governatore di “chiudere tutto”, Emiliano dice che “il risultato della timidezza del governo con il fenomeno del contagio scolastico e del depotenziameto dei poteri delle Regioni potrebbe essere l’accelerazione della variante inglese e della terza ondata”.
Emiliano, però, sostiene che “non possiamo chiudere noi Regioni le scuole e tutto il resto. Lo deve fare il governo che ha praticamente privato le Regioni di tutti i poteri di contenimento della curva epidemica, anche a scuola, che possono essere esercitati solo nell’intervallo di tempo tra un Dpcm e l’altro e solo a condizioni molto particolari di peggioramento dei dati”.
“Non possiamo fare altro che concentrarci sugli ospedali perché la terza devastante ondata sta per cominciare”, ha concluso il presidente della Puglia.
Comunque in Puglia fino al 14 marzo tutte le scuole di ogni ordine e grado dovranno adottare la didattica digitale integrata (Ddi) al 100%.
La “stretta” non risparmia il Piemonte, dove da lunedì 8 marzo si passa alla didattica a distanza al 100% per tutte le scuole in alcune aree più critiche delle province di Asti, Cuneo, Torino, Vercelli e Verbano-Cusio-Ossola e DaD dalla seconda media in su in tutto il resto della regione.
Le misure più restrittive riguardano anche le scuole primarie e dell’infanzia dove l’incidenza dei contagi supera la soglia di allerta (250 contagi ogni 100mila abitanti).
“Abbiamo la possibilità di intervenire – ha detto Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte – con misure restrittive non a sentimento, non a emotività, ma a numeri e parametri precisi. In provincia di Alessandria, Novara e Biella in questo momento abbiamo numeri sotto la soglia di allerta”.
Di altro tenore sono le dichiarazioni di Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana: intervenendo a ‘Che giorno è’, su Radio1, ha detto che sentirà “uno per uno i sindaci, in quella sessantina di comuni che hanno nel proprio territorio oltre 250 casi su 100mila abitanti: avrò un colloquio molto concreto con loro, sottoporrò poi questo colloquio al Comitato, e decideremo dove fra i 273 comuni della Toscana chiudere le scuole nella prossima settimana”.
Giani ha aggiunto che riunirà “il Comitato per l’emergenza di prevenzione scolastica, oggi alle 17: in serata prenderà i provvedimenti che andranno in vigore da lunedì prossimo, che avranno una validità settimanale, e ogni settimana li verificheremo”.
Il presidente della Toscana si è detto “fautore della didattica in presenza: non a caso sono il presidente di Regione che l’11 gennaio, anche a differenza di molti altri miei colleghi, ha voluto che i giovani delle scuole medie superiori potessero rientrare a scuola”.
Anche in Trentino per ora non si parla di stop della didattica in classe, malgrado la forte incidenza dei contagi: lo ha fatto intendere il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti.
Stesso discorso in Valle d’Aosta, dove solo i ragazzi delle superiori vanno in presenza al 50%.
Didattica a distanza per gli studenti delle scuole medie e superiori e per le università a partire da lunedì prossimo in tutto il Friuli Venezia Giulia: così ha deciso il governatore Massimiliano Fedriga.
Attività didattiche sospese chiuse anche in Basilicata.
Un discorso a parte va fatto per il Veneto: il passaggio in zona Arancione non comporterà chiusure delle scuole, “ma valuteremo i parametri fino in fondo”, ha detto il presidente regionale Luca Zaia.
“Abbiamo il Dpcm – ha aggiunto – che vincola a 250 casi su 100 mila abitanti però apre una finestra interpretativa ai Dipartimenti di sanità, che abbiamo voluto adottare cercando di trovare aree omogenee. Non abbiamo ancora deciso se la dimensione sarà provinciale o distrettuale”, ha concluso Zaia.
Nel Lazio il presidente Nicola Zingaretti, che ha confermato le dimissioni da segretario Pd, ha firmato l’ordinanza per la zona arancione nella provincia di Frosinone che ora rischia nuove misure, “se si dovessero superare i parametri previsti nel Dpcm, agiremo anche sulle scuole”, ha annunciato.
Scuole in presenza in Umbria, tranne le superiori, dove però proseguirà fino al 21 marzo la didattica “esclusivamente” a distanza per tutte le scuole della provincia di Perugia.
Da sabato 6 marzo nelle Marche stop alla didattica in presenza per le scuole di ogni ordine e grado, comprese le Università ad Ancona e Macerata.
Nelle altre province marchigiane – Ascoli Piceno, Fermo e Pesaro Urbino – si applicherà la Dad al 100% per medie e superiori e Università con l’esclusione dunque di Infanzia ed Primarie. In Toscana scuole chiuse in alcuni comuni per alto numero di contagi.
Scuole chiuse in Emilia a Modena, Bologna, Reggio Emilia, Ravenna e Cesena. Dal 6 marzo chiuderanno anche asili e materne rimasti aperti in questi giorni per dare il tempo ai genitori di organizzarsi. Scuole chiuse pure in Abruzzo (tranne in quelle dell’infanzia) e in Molise.
La Sicilia resta in “zona gialla”, ma in attuazione del nuovo Dpcm scuole chiuse in 14 Comuni siciliani da lunedì 8 a sabato 13 marzo, come deciso dal presidente della Regione Nello Musumeci.
Cresce, intanto, la polemica in Lombardia, passata improvvisamente alla DaD al 100%, dopo l’inserimento nelle aree arancioni rinforzate.
Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha detto che la decisione di tornare alla didattica a distanza è “stata presa sulla base di indicazioni medico-scientifiche, ma con un’attuazione così repentina le famiglie sono state oggettivamente messe in difficoltà”.
“Avverto e comprendo lo scoramento e la stanchezza. E magari anche la rabbia, vostra e dei vostri genitori, che in molti casi sono stati costretti a riorganizzarsi dalla sera alla mattina”, ha detto rivolgendosi agli studenti.
“Sapevo che il provvedimento sarebbe stato impopolare, ma tra la popolarità e la necessità di tutelare la salute dei bambini, dei ragazzi e delle famiglie, ho scelto quest’ultima”, ha replicato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana.
“Non è stata una decisione nata dalla mia testa, ma dalla valutazione di una serie di esperti, tecnici e scienziati i quali – ha continuato Fontana – mi hanno a prendere il provvedimento con la massima urgenza e tempestività. È emerso come questa variante del virus, che ormai in Lombardia è maggioritaria, è particolarmente aggressiva, più rapida nella diffusione e colpisce anche i giovani, che fino a pochi mesi fa erano quasi indenni”.
“In Lombardia è successo in tante occasioni che se scuole si siano trasformate in un importante focolaio”, ha concluso il governatore lombardo.
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