Il Covid-19 torna fare paura: 5.724 casi in un giorno e il raddoppio dei contagiati a Milano in una sola settimana fanno ripiombare l’Italia indietro di sei mesi. Certo, c’è chi sta peggio: in Francia si superano i 20 mila casi al giorno, mai registrati prima. Anche la Spagna, come gran parte dell’Europa, non sta molto meglio.
I timori che pure l’Italia si trovi presto in quelle condizioni cominciano a serpeggiare: per questo motivo è stata convocata d’urgenza, per domenica 11 ottobre, una riunione del Comitato tecnico scientifico (coordinato da Agostino Miozzo, dirigente della Protezione civile) col ministro della Salute Roberto Speranza. Si decideranno le nuove misure di un ulteriore quanto necessario Dpcm, che dovrebbe avere effetto già dal 15 ottobre.
Sono svariate le ipotesi sul contenuto del decreto. Al momento, l’unica cosa certa è che non si procederà con un secondo lockdown. I motivi sono diversi, anche economici: secondo il governatore della Liguria Giovanni Toti “è giusto pensare a misure” di contenimento “ma c’è un’altra cosa che non cresce: il Prodotto Interno Lordo. Siamo a meno 10%”.
Anche Filomena Maggino, della task force di Palazzo Chigi per la Fase 2, dice: “Il Paese ha dei numeri che non giustificano una chiusura totale in questo momento”.
La parola d’ordine diventa quindi “rigore”, proprio per scongiurare la chiusura totale. I locali, così, potrebbero rimanere aperti non oltre le ore 23; come si preannuncia lo stop alla vendita di alcolici nelle ore piccole, alla sosta off limits in piedi fuori dai locali.
Si parla anche dell’estensione dello smartworking e pure dalla riduzione della percentuale di passeggeri sui mezzi pubblici: il Cts non ha mai gradito, del resto, quell’80% di capienza massima decisa nei mesi passati.
C’è pure chi paventa lo stop agli spostamenti tra regioni. Ci si aspetta anche delle limitazioni per eventi pubblici e feste private, compresi nozze e battesimi, fino ai funerali.
“Abbiamo un piccolo vantaggio rispetto agli altri – ha detto il ministro della Salute – ma non possiamo farci illusioni e dobbiamo avere ora la prontezza di capire, che ciascuno, il governo le regioni e anche le persone, deve alzare il livello di attenzione”.
“Se lo facciamo subito – ha continuato Speranza – siamo nelle condizioni di governare meglio i mesi successivi, in vista dell’arrivo che ci sarà, ma che purtroppo non è immediato, di risposte dalla comunità scientifica internazionale in termini di vaccino sicuro e cure efficaci. Il punto è come resistiamo in questi momenti”.
La preoccupazione maggiore riguarda, anche in questa occasione, la capacità delle strutture sanitarie. Soprattutto nelle Regioni del Sud.
Al momento, è bene ribadirlo, la situazione è abbastanza sotto controllo: basta dire che in tutta Italia i pazienti ricoverati in terapia intensiva risultano appena 3 in più in un giorno (in tutto 390).
Tuttavia, con l’indice di contagiosità Rt superiore a 1,2, livello già raggiunto in Campania, si prevede che entro fine 2020 gli ospedali possano andare non molto lontani dalla saturazione. Sia nei reparti ordinari, sia in quelli di terapia intensiva.
Ecco perché si pensa che le misure restrittive che si stanno prendendo ora potrebbero andare avanti anche sino a marzo.
E la scuola? Cosa si farà, se i contagi continueranno a crescere come negli ultimi giorni? Sicuramente, le Asl – se supportate dal Governo – potrebbero rafforzare l’impiego dei test rapidi al fianco dei tamponi diagnostici, da attuare direttamente nelle scuole, come è accaduto ad esempio in questi giorni in alcuni istituti romani, anche per tentare di diluire le file di ore in auto che si vanno sempre più formando ai drive in dei grandi centri.
Il timore diffuso, però, è che se i casi di alunni o docenti risultati positivi dovessero cominciare a presentare percentuali più severe di quelle emesse nelle ultime ore dalla ministra dell’Istruzione, allora il quadro muterebbe.
E la chiusura, dopo solo un mese dalla ripartenza in presenza, potrebbe diventare un’ipotesi non più remota.
Nel frattempo, la Cisl Scuola, sostiene che le scuole sono state lasciate “troppo sole” nella gestione dell’emergenza Covid.
Il sindacato guidato da Lena Gissi invita a “non sottovalutare” la situazione che richiede “grande attenzione e grande senso di responsabilità da parte di tutti, a partire da chi è chiamato ad assumere decisioni”.
Ma poi proprio la Gissi sottolinea: non bastano “i richiami alla responsabilità, rivolti per lo più in modo unidirezionale alle famiglie, ai giovani, alle scuole e a tutte le componenti che non hanno strumenti decisionali se non la propria coscienza e il rispetto per la salute collettiva”.
Secondo la sindacalista, “in assenza di indicazioni dal centro e di un’azione più incisiva e tempestiva da parte delle autorità sanitarie, alle quali non possono sfuggire le tante denunce che i dirigenti scolastici continuano ad inviare, la pandemia continuerà a correre velocemente nelle nostre aule”.
La leader Cisl Scuola parla di “tante scuole costrette ad attendere per giorni e giorni dalle ASL una risposta alle loro segnalazioni. I tamponi sono programmati in diverse regioni con tempi molto lunghi e le quarantene preventive interrompono le attività didattiche sistematicamente, con effetti devastanti nei confronti degli alunni”.
Il sindacato sembra già orientato al peggio: prefigura il ritorno alla Dad, auspica elezioni on line degli organi collegiali e chiede di rinviare i concorsi per docenti.
In questa situazione diventa “sempre più urgente e necessario regolamentare, anche contrattualmente, le attività di didattica distanza, per non essere impreparati nel caso in cui si renda inevitabile farvi ricorso” e “interrogarsi in modo molto responsabile sull’opportunità di far svolgere in presenza le elezioni dei rappresentanti negli organi collegiali, così come di far mettere in movimento decine di migliaia di persone in tutta Italia per un concorso” straordinario “che rischia di essere straordinario solo per le incognite di carattere sanitario e i disagi legati al suo svolgimento”.
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