Il 2020 sarà ricordato come l’anno del Coronavirus. E con tutto quello che ne consegue: il lockdown, la crisi economica, la cassa integrazione e la perdita di lavoro per tanti liberi professionisti.
Centinaia di migliaia di lavoratori sono state obbligati, mentre l’Italia si bloccava, a fermarsi. E poi a ripartire a fatica. I più fortunati hanno ripreso, seppure lentamente. In tanti, invece, non ce l’hanno fatta: stiamo parlando, ad esempio, di chi gestiva un’attività commerciale legata a beni non primari, di rappresentanti, di commessi. La crisi non ha risparmiato i professionisti laureati. Nemmeno gli avvocati.
“A 58 anni mi sono rimesso a studiare e sono pronto a entrare nel mondo della scuola tramite concorso o supplenze”, ha detto a La Repubblica l’avvocato tarantino Giovanbattista Locafaro che come migliaia di suoi colleghi sta affrontando l’annus horribilis della giustizia, con i tribunali ancora chiusi e l’attività che stenta a tornare alla normalità.
Ma a quasi 60 anni ci si può “riciclare” come docenti? La legge non ammette vincoli anagrafici. Anzi, per chi non raggiunge i requisiti minimi, le supplenze possono essere svolte fino a 70 anni.
Il punto è che quella dell’avvocato pugliese non è un’eccezione: ad essere tentati di “entrare” nella scuola sono tantissimi.
Vi sono tante donne, ad esempio, che senza più lavoro hanno rispolverato il diploma magistrale. Molti professionisti hanno rispolverato la laurea. Ci sono anche semplici diplomati negli istituti superiori professionali e tecnici, che tentano la strada dell’insegnamento tecnico pratico.
Tanti lo faranno tramite Mad, chiedendo di fare supplenza direttamente alle scuole, anche fuori graduatoria d’Istituto o Gps.
Altri coglieranno al volo le possibilità fornite dal Governo di bandire i concorsi ordinari (per infanzia, primaria e secondaria), per i quali non serve più l’abilitazione, ma basta il titolo e i 24 Cfu (per gli Itp solo il diploma di maturità).
Ma quante possibilità ha questo piccolo esercito di aspiranti docenti di lavorare nella scuola, anche senza avervi mai messo piede dopo il diploma? Dipende.
Diciamo subito che non è la stessa cosa chiedere di partecipare ad un concorso o di fare supplenze a Canicattì o in provincia di Lodi, a Caserta o a Belluno.
Al Nord, è risaputo, la disponibilità di posti è decisamente più alta.
Molto dipende anche dal tipo di titolo che si è conseguito. E quindi dalla classe di concorso a cui si aspira: se si chiede, ad esempio, di insegnare Matematica, soprattutto alle medie, o lingue straniere, le possibilità sono decisamente alte.
Se, invece, si concorre per andare dietro la cattedra per fare il docente di Economia, Giurisprudenza o Educazione fisica, le possibilità si riducono moltissimo.
I numeri, comunque, dicono che vale la pena tentare. Non sono mai stati così alti: I posti vacanti sono oltre 85 mila; poi ci sono altre 92 mila cattedre da considerare come “adeguamento docenti in organico di fatto” e (in prevalenza) deroghe di sostegno (posti liberi ma collocati fino al 30 giugno).
Per chi vuole, c’è anche la “carta” del lavoro come Ata: anche tra gli amministrativi, tecnici, collaboratori scolastici e gli altri profili professionali ci sono altri 25 mila posti da assegnare.
Infine, c’è da considerare che a settembre si aggiungerà un plotone aggiuntivo, tra docenti e Ata, fino 50 mila posti: sono quelli che serviranno per allocare, in luoghi anche “alternativi” (biblioteche, musei, cinema e altri, anche detta della ministra dell’Istruzione) gli alunni in sovrannumero nelle loro scuole.
In totale, quindi, parliamo di oltre 250 mila posti. Solo il 10 per cento, considerando anche gli andamenti ultimi due anni, verranno assegnate per le immissioni in ruolo. Rimarranno oltre 200 mila contratti annuali da assegnare, tra settembre e l’autunno. Poi, ci sono sempre le supplenze temporanee o brevi.
Mai come quest’anno, l’anno del Coronavirus, la scuola aprirà le porte a tanti che l’ultima volta che vi avevano messo piede avevano probabilmente ancora i calzoncini corti.
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