La valutazione per competenze insieme al sistema del credito ha dato alla scuola la possibilità di esprimere un giudizio di valore mettendo anche in rapporto scuola e lavoro. Il sistema del credito, che si aggiunge alla valutazione, com’è noto, è legato alla media scolastica. In questo contesto assistiamo ad alcune problematiche che nascono proprio dalla coincidenza di questi due fattori nella valutazione: credito e media complessiva.
Molto si sta facendo per provare a coniugare l’universo della scuola con il mondo del lavoro, ma le criticità nascono inevitabilmente quando si ha la consapevolezza che gli obiettivi educativi della scuola hanno un valore formativo differente rispetto all’oggettività di una valutazione sulle competenze. Il mondo dell’istruzione oggi è più che mai dinamico e gli insegnanti valorizzano il percorso formativo degli alunni secondo i loro specifici bisogni.
Un adolescente che frequenta le scuole deve avere come primo obiettivo la crescita, sotto ogni punto di vista e l’insegnante è appunto in questo contesto il suo educatore e formatore; in quest’ottica appare più che mai anacronistica e sbagliata la non ammissione dei ragazzi nelle classi successive, perché si nega loro la possibilità di crescere in un contesto che essi stessi pian piano creano, fatto di esperienze ed emozioni.
Dunque oltre ad essere sbagliata da un punto di vista educativo, la bocciatura lo è anche dal punto di vista formativo perché non si accettano i limiti cognitivi dell’altro, o li si stravolgono, spesso con prove cariche di ipocrisia e di inutile burocrazia; è inoltre un aggravio economico. È nell’esperienza comune degli insegnanti promuovere alunni valorizzando quel minimo di impegno mostrato, perché non si è riusciti a mediare conoscenze, abilità e competenze, facendo dunque prevalere l’aspetto educativo, ritenendo che questi possano comunque continuare un percorso di studi nonostante lievi o gravi lacune.
Con l’istituzione del credito però, gli insegnanti devono poter valutare la competenza, cioè la capacità reale e questa non può assolutamente essere sottoposta al giudizio scolastico, perché oggettiva e non deve sottostare a valori educativi.
Secondo quanto esposto dunque è necessario rivalutare il concetto di credito che dovrebbe costituirsi come “credito lavorativo”, veramente oggettivo e che si basi sulle reali competenze degli alunni in ogni singola disciplina, per anno, e che si ottengano anche mediante specifiche prove nazionali. In questo modo un alunno che non raggiunga i valori di competenza minimi , potrà comunque essere promosso con una semplice sufficienza per evitare la bocciatura, anche se a credito lavorativo zero. In questo contesto va riformulato anche il mondo del lavoro: in tutti i concorsi, ma anche nelle aziende, per potervi accedere sarebbero necessari opportuni crediti lavorativi dati delle singole discipline, e se non si posseggono sarà proprio la scuola stessa a fornirli con esami veri, per privatisti, e il candidato così acquisirà quanto non fatto da studente.
A differenza dell’attribuzione sulla media, un credito lavorativo per materia orienta realmente gli studenti-lavoratori in una prospettiva rivolta al futuro. Inoltre un’alta valutazione sulla media scolastica, legata ovviamente a tutte le esperienze disciplinari, permetterebbe l’attivazione di incentivi di varia natura anche economica, perché l’impegno va valorizzato ed è un lavoro da retribuire, molto meglio di un fittizio credito scolastico.
Il credito formativo invece confluirebbe nel credito lavorativo, ma solo se l’attività svolta ha attinenza specifica con la materia scolastica e potrebbe portare a meriti come l’accesso diretto ad università o ambienti lavorativi di settore, influire su preselezioni o colloqui e altro, ma a differenza del voto di maturità, il CL agirebbe in autonomia: e così un alunno del liceo classico che si scopre genio in matematica, non sarà più penalizzato nella sua vita lavorativa a causa di una media scolastica bassa.
Potrà anche succedere che un ragazzo si diplomi con crediti lavorativi zero, a cuor leggero per tutti, ma potrà sempre tornare a scuola da privatista a prendere i crediti di cui ha bisogno per lavorare, oppure che sia eccellente solo in un ambito senza che la propria vita si fermi in una classe. Si potrebbe obiettare che gli alunni potrebbero perdere delle conoscenze importanti per concentrarsi solo su ciò che è di proprio interesse, ma è un’opinione banale di chi non conosce il potere di un buon insegnante. Il diploma così significherebbe seminare possibilità, maturare esperienze, raccogliere opportunità, crescere.
In conclusione dunque istituire il credito lavorativo aumenterebbe la dignità e l’utilità sociale della scuola, legandola realmente al mondo del lavoro.