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Il decreto scuola e le parole di Matteo Orfini: alcune riflessioni

Matteo Orfini del Partito Democratico: “La mia posizione era quella di tutto il Pd. Poi, senza alcuna discussione in nessun organismo quella posizione è cambiata e abbiamo ceduto a una forzatura del Movimento 5 stelle. Peccato che quel cedimento lo paghino sulla loro pelle migliaia di precari”. Orfini si è detto pronto “a fare di tutto per correggere l’errore”.

Per Orfini, la mediazione raggiunta sul concorso per l’immissione in ruolo dei nuovi docenti è insufficiente: “Non si riconoscono i titoli e gli anni di servizio dei precari che insegnano da anni nei nostri istituti – dichiara a Fanpage.it – era l’occasione di sanare una ferita, invece si è rifiutato di creare un meccanismo di stabilizzazione che riconoscesse il valore di quanto fatto in questi anni. Si è voluto considerare il precariato una colpa dei precari”, conclude e sul proprio partito commenta: “Il Pd cede per non infastidire il M5S, in questo caso la ministra Azzolina”. Orfini critica anche la strategia per il ritorno sui banchi di scuola a settembre. “Non c’è un piano – dice Orfini – Il problema è l’inadeguatezza del ministero” aggiunge e critica di nuovo il suo partito: “Di fronte alle posizioni irragionevoli del M5S e di Conte, il Pd si è arreso”.

Apro con questo intervento di Orsini, per dare ragione a quanto scritto precedentemente in merito al modus operandi del Pd, che furbescamente spera in un tracollo dei M5S e quindi di una transfusione sulle sue linee di tanti delusi, alle prossime elezioni politiche, in barba ai Precari, alla Società Civile, all’Italia.

Apro con questo intervento di Orsini, per dire tutta la rabbia e l’amarezza di un Sindacato che non ha più potere, non ha più nulla da dire e da dirci, non più rappresentante e rappresentativo.

Apro con questo intervento di Orsini, soprattutto per dire del fallimento del Popolo Scuola, con un occhio rivolto a quelle manifestazioni in memoria della protesta in Piazza Tienanmen, e delle violente (per me cmq non accettabili nel modus operandi) rivolte negli Stati Uniti, in merito alla morte di un uomo di colore: non credo che l’America, in questo, sia differente dall’Europa…: non è una questione di colore, ma comunque di razzismo sicuramente, perché razzismo non è soltanto il colore della pelle: gli ebrei erano e sono bianchi, l’Italia è bianca, l’Europa è Bianca (anche se oggi un po’ più multietnica).

Apro con questo intervento di Orsini, per la delusione alla rassegnazione che soltanto nelle parole di partecipazione, quale modus di lotta, molto più vicine al cordoglio, fine a se stessa, perché racchiusa nel dentro di socialnetwork, anche se talvolta qualche risultato lo ottiene quale eco sociale di facto.

Io sarò un nostalgico di sinistra, se per sinistra si intende quell’ideologia che nella forza e nella rappresentatività del Popolo, sta il senso e l’essere stesso della Democrazia, della Politica. Ma la mia non è e non vuole qui essere una definizione di parte, ma semplicemente il manifestare tutta la delusione di quanto costantemente accade da tempo oramai sul palcoscenico politico italiano, e che nemmeno il Covid-19 è riuscito a modificarne la sceneggiatura, soprattutto sul copione SCUOLA.

Vorrei andare in pensione se ci fossero tutti i requisiti richiesti. Vorrei andare in pensione, non per rassegnazione o vigliaccheria, ma semplicemente perché arriva il momento in cui forse non basta più il gridare, il denunciare, la partecipazione alla “lotta”, e soprattutto perché prendi consapevolezza dell’operare, tra orrori ed errori umani, dell’essere docente con tutto quello che esso ne comporta, obbligato al massimo come fosse un lavoro forzato (mai riconosciuto, e non soltanto sul piano economico, tanto da scrivere su un quotidiano che noi non siamo eroi, non lo meritiamo questo valore aggiunto: noi non lo abbiamo mai voluto; ma senza noi docenti cosa sarebbe stato oggi della Scuola al tempo del Coronavirus(?)), in quell’amore tradito, fondamento e fonte della sua missione, e non professione, che comunque regala sempre l’anelito alla speranza, nello sguardo di quei volti giovani che ci fanno crescere, conoscere, essere.

Mario Santoro

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