Avete notato che i ragazzini, normalmente, sono del tutto indifferenti alla presenza degli adulti? Se si cammina per strada, si prendono i mezzi pubblici, ci si ferma in una piazza, si sentono giovanissimi che dicono ad alta voce, senza nessuna apparente inibizione, cose che le generazioni precedenti non avrebbero mai detto di fronte ai “vecchi”: parolacce particolarmente forti, insulti reciproci, bestemmie, discorsi sessuali del tutto espliciti, come se gli adulti fossero diventati invisibili, trasparenti. Troppo, anche al netto della normale e fondamentale identificazione degli adolescenti con il gruppo dei pari, che li porta a rispecchiarsi nei coetanei e a costituire un mondo a sé.
Questo discorso non vuole essere una lamentela moralistica sulla maleducazione dei giovani; al contrario, serve a dire che di questa incomunicabilità e reciproca indifferenza tra generazioni sono in gran parte responsabili gli adulti, e che essa fa male soprattutto ai giovanissimi. Se gli adulti sono invisibili per i ragazzini probabilmente è perché, nei fatti, non ci sono, non sono ritenuti utili e affidabili; è perché, prima ancora di perdere qualunque interesse per gli adulti, sono i giovanissimi a non essere visti e presi in considerazione da loro. L’indifferenza allora sembra fatta soprattutto di sfiducia e rassegnazione all’invisibilità reciproca, tanto è vero che si fa rara anche la rabbiosa aggressività della provocazione.
La controprova ce l’abbiamo in classe: nonostante quello che dice sull'”apprendimento autonomo” qualche pedagogista ideologizzato o interessato a pubblicizzare certi prodotti digitali, ogni insegnante minimamente attento sa quanto gli studenti siano affamati di relazione, quanto cerchino risposte e rassicurazioni dagli adulti che hanno di fronte, non appena gli adulti si mostrino disponibili all’ascolto e al dialogo e si dimostrino affidabili come portatori di conoscenze e di significati.
La scuola è l’ultimo posto, al di fuori di legami familiari che non possono esaurire in sé l’intera dimensione sociale, in cui le generazioni comunicano, si confrontano, entrano in relazioni profonde. Anche in questo caso la frase da brividi del presidente ANP Antonello Giannelli, “la scuola deve smetterla di fare il contrario di quello che avviene nel mondo”, andrebbe rovesciata: è il mondo che deve smetterla di fare il contrario di quello che avviene a scuola, dove i ragazzini sono considerati persone a cui prestare attenzione e che vanno aiutate a crescere, non utenti, clienti o consumatori.
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