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Il diritto ai riposi giornalieri anche al padre lavoratore

In un primo momento, l’ipotesi di madre non lavoratrice dipendente era stata intesa nel senso di madre lavoratrice autonoma, come nel caso di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta, co.co.co., senza ricomprendere nelle casistiche previste anche la madre casalinga. Successivamente, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4293/2008, ha interpretato in maniera più estensiva quest’ipotesi, equiparando la madre casalinga alla madre non lavoratrice dipendente, purché impegnata in attività che la distolgono dalla cura del neonato, che debbono essere opportunamente documentate. È questo il caso, ad esempio, di una madre casalinga impossibilitata a prendersi cura del neonato perché deve sottoporsi ad accertamenti sanitari o cure mediche, oppure deve partecipare ad un concorso pubblico.
Il Ministero del Lavoro ha poi fatto proprio l’orientamento del Consiglio di Stato, rionfermandolo con la circolare n. 8494/2009.
A distanza di due anni, l’Inpdap ha emanato la nota operativa n. 23 del 13/10/2011, con la quale ha ribadito le interpretazioni estensive contenute nella sentenza del Consiglio di Stato e nella successiva circolare del Ministero del Lavoro, precisando che, trattandosi di permessi retribuiti, la loro fruizione non ha alcuna incidenza ai fini del versamento dell’obbligo contributivo.
Il padre dipendente ha così diritto ad una o due ore di riposi giornalieri (a seconda dell’orario giornaliero di lavoro) entro il primo anno di vita del bambino o entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.
I riposi possono essere fruiti a partire dal giorno successivo ai tre mesi dopo il parto.
In caso di parto plurimo, il padre dipendente può fruire del raddoppio dei riposi e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche durate i primi tre mesi dopo il parto.
Non è, invece, consentito in alcun modo – precisa l’Inpdap – il recupero delle ore di permesso eventualmente non godute.
Lara La Gatta

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