Il diritto all’istruzione è un privilegio: chi ne paga le conseguenze?
In queste ore ci si appresta alla didattica a distanza. Segno di massima insicurezza, che conferma la difficoltà della scuola a ripartire. E forte grido di allarme: il diritto all’istruzione, di per sé diritto universale da garantire in modo libero e gratuito, è ormai divenuto un privilegio.
A pagarne le spese sono i seguenti invisibili terrorizzati:
i GENITORI: anche i meno acculturati capiscono che la scuola a doppia velocità danneggia gravemente il percorso educativo dei loro figli. Inoltre si chiederanno: “Come torniamo al lavoro? E se, dovendo stare a casa, non ci torniamo, come sfameremo i nostri bambini?”;
gli STUDENTI: il milione e 600 mila alunni non raggiunti dalla didattica a distanza nei 130 giorni di lockdown sono destinati a raddoppiare con la chiusura a singhiozzo della scuola. Senza contare i trecentomila allievi disabili, che già hanno vissuto una situazione di isolamento, e da settembre si sono visti escludere dalla scuola: mancano per 285 mila di loro i docenti di sostegno;
i GESTORI delle 12mila scuole paritarie, come pure i dirigenti delle 40mila scuole statali, che si domandavano come sarebbe stata la scuola del dopo Covid-19 e come conciliare le esigenze sanitarie con quelle educative, oggi si trovano sempre più spiazzati. Sono giunte loro linee confuse e contraddittorie; mentre il Governo litiga con le regioni, i gestori e i presidi devono arrangiarsi;
i DIPENDENTI, 180mila delle scuole paritarie, 1 milione della scuola statale: anche per molti di loro, tra cui per primi i precari, il futuro è appeso al filo della “curva” epidemica, che se non scende li vedrà tutti a casa in CIG, quando arriverà;
i CITTADINI italiani, che temono a ragion veduta per il futuro dell’economia e per le losche mire di chi ha già messo gli occhi sul “Piano Marshall” del Governo e dell’Europa….
All’allarme hanno dato voce, fra gli altri, il Presidente della Repubblica, la Presidente del Senato e il dott. Draghi, che citiamo per il ruolo istituzionale e professionale che ricoprono: “Se non riparte la scuola, non riparte l’economia, non riparte il Paese e l’Italia sarà guarita, ma condannata ad una vita di stenti”; “un rischio che non possiamo correre è che alle disuguaglianze tra territori esistenti nel nostro Paese si aggiungano quelle derivanti da effetti della pandemia”.
Nei mesi passati si è perso tempo, per incompetenza e per presunzione. Ora, giunti a fine ottobre, ancora si discute con la barzelletta del concorso, mentre i precari sono lasciati a casa e le aule sono vuote. Il tutto in spregio dei cittadini che, forti del pensiero di Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”, continuano a servire generosamente la Repubblica e a proporre soluzioni.
Ed è ormai chiaro a tutti quanto segue:
La soluzione resta la medesima: innescare un processo virtuoso di collaborazione fra le scuole statali e le paritarie per consentire agli studenti (nessuno escluso) di rientrare in classe in sicurezza. Europa docet.
Sarebbe stato più responsabile siglare accordi fra i mezzi di trasporto pubblici e privati (per altro fermi causa blocco turismo): avremmo fatto viaggiare i ragazzi in sicurezza con il giusto distanziamento. Si sarebbero evitati i contagi, spendendo meglio. Invece si è fatto finta di niente: gli studenti sono stati ammassati sui mezzi pubblici, il contagio si è diffuso e abbiamo così avuto la scusa per chiudere la scuola, evitando il rischio di avere cittadini pensanti (arma di distruzione di massa dell’ideologia!).
Dobbiamo rassegnarci al fatto che, viste queste premesse, nemmeno una volta trovato il vaccino la scuola italiana ripartirà per tutti. Allora il monopolio educativo, che finora i governi italiani per imprudenza e superficialità hanno favorito, sarà purtroppo una amara realtà. Il successivo passo obbligato sarà il regime…
Ecco che cosa si può fare in queste ore per evitarlo:
Il presidente Mattarella inviti caldamente il presidente Conte a riunire le aule del Parlamento.
In questa sede si avvii una collaborazione reale fra scuole statali e paritarie e, con la quota capitaria di 5.500 euro, si garantisca il diritto di apprendere per tutti gli studenti. A questo meccanismo è legato un nuovo finanziamento del sistema scolastico italiano e il censimento dei docenti per incontrare la domanda e l’offerta. Dobbiamo guardare agli annunciati finanziamenti europei come all’ultima “opportunità”. L’investimento attraverso Sure, Bei e Mes di quasi 100 miliardi di risorse, cui si aggiungerà la “dote” di 172 miliardi del futuro Recovery Fund, potrà diventare autenticamente strategico per completare il processo “Autonomia, parità e libertà di scelta educativa”.
Si stabiliscano accordi con i mezzi di trasporto pubblici e privati per far viaggiare i ragazzi in sicurezza.
In alternativa, lo scenario dal 2021 sarà esattamente quello del 2020 e il diritto all’istruzione sarà inteso come un lusso, come è avvenuto per secoli: il figlio del ricco a scuola, presso collegi prestigiosi, il figlio del povero nei campi o nelle fabbriche, ma senza cultura. Il tutto senza alcuna ragione di diritto e di economia: pura “idiozia culturale”.