La refezione scolastica (come previsto dal D.M. 31 dicembre 1983“Individuazione delle categorie di servizi pubblici locali a domanda individuale” punto n. 10, emanato ai sensi dell’art. 6 del D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito in L. 26 aprile 1983, n. 131) è un servizio pubblico locale “a domanda individuale”. Per l’effetto, l’ente locale non ha l’obbligo di istituirlo ed organizzarlo ma se lo fa è obbligato a stabilire la quota di copertura tariffaria a carico dell’utenza.
Tanto è non controverso ed è stato confermato dalla Sentenza della Corte d’Appello di Torino 21 giugno 2016, n. 1049
Invero, se il servizio è a richiesta e l’ente locale non ha obbligo di organizzarlo, appare coerente dedurre che ove le famiglie all’atto dell’iscrizione optino per una modalità oraria per la quale è prevista la mensa (tempo pieno o prolungato), possano scegliere liberamente se servirsi della refezione (peraltro a pagamento) oppure fornire direttamente il pasto al proprio figlio.
Invece se quanto predetto è logico non è tuttavia pacifico, tanto da rendere necessario ricorrere all’Autorità Giudiziaria per vedersi riconosciuto il diritto di scegliere tra la refezione scolastica ed il pasto domestico e, in tal caso, di consumarlo all’interno dei locali della scuola.
La pronuncia della Corte d’Appello costituisce (temporalmente) l’ultimo atto di un contenzioso collegato a problematiche storiche riguardanti il servizio mensa e non relative soltanto a Torino.
Essa è stata preceduta dalla Sentenza del TAR Piemonte 10 luglio 2014, n. 1365 il quale però, senza entrare nel merito, si era limitato ad affermare che la questione sfuggiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rientrando in quella del giudice ordinario.
Proposta perciò la domanda innanzi al Tribunale, questo, come si evince dall’excursus ricostruito nella sentenza di appello, ha rigettato la domanda in quanto, pur riconoscendo le predette caratteristiche del servizio di refezione scolastica, tuttavia non ha individuato un obbligo per la scuola di istituire un “servizio alternativo interno” per coloro che intendono consumare il pasto “domestico”, mancando una norma che imporrebbe all’amministrazione di consentire, a tal fine, l’utilizzo dei locali della mensa scolastica in orario di refezione.
I genitori, secondo il giudice di prime cure, possono scegliere un orario che includa il tempo mensa e di non usufruire del servizio di refezione ma in tal caso prelevando (o facendo uscire) il figlio da scuola durante l’orario della mensa e riaccompagnandolo (o facendolo rientrare) prima della ripresa delle lezioni, dopo il pasto, non sussistendo un obbligo per la scuola di organizzare un “servizio alternativo”.
I genitori però non stanno richiedendo un diverso servizio ma solo il diritto di scegliere di non usufruire di quello esistente.
La Corte di Appello di Torino, perciò, ha in primo luogo rilevato “l’errore compiuto dal Tribunale nel ritenere che gli allievi possano allontanarsi dalla scuola durante la refezione” in quanto il tempo dedicato alla mensa rientra nel tempo scuola e quindi gli studenti, allontanandosi per il pasto, “collezionerebbero ore di assenza incidenti sulla frequenza scolastica”. Inoltre l’allontanamento imposto durante la pausa pranzo, in caso di scelta di non avvalersi del servizio organizzato dall’ente, “si porrebbe in contrasto con la natura di servizio non obbligatorio a domanda individuale della refezione scolastica dovendosi escludere l’alternativa costituita dal digiuno”. Pertanto ha ritenuto fondato il motivo di appello.
La Corte ha svolto un ineccepibile ragionamento giuridico riscontrando che:
l’art. 34, primo comma, della Costituzione prevede il diritto all’istruzione, obbligatoria per almeno otto anni e gratuita.
Come disposto dal Dlgs 59/04 (“Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53“) ed esplicitato dalla C.M. n. 29 del 5 marzo 2004che ha fornito Indicazioni e istruzioni, “l’orario annuale delle lezioni nel primo ciclo di istruzione comprende: (a) un monte ore obbligatorio; (b) un monte ore facoltativo opzionale; (c) eventualmente l’orario riservato all’erogazione al servizio di mensa e di dopo mensa”. Il servizio scolastico è erogato nell’ambito di tali segmenti d’orario. “Essi concorrono a costituire un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa” (p. 3\4 C.M. n. 29/2004).
Tali servizi di mensa (p.11 C.M. n. 29/2004) “ necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”.
Previsione analoga si ha (p. 16) per il “tempo scuola” nella secondaria di primo grado.
Il diritto all’istruzione primaria corrisponde ormai “in modo più ampio al diritto di partecipare al complessivo progetto educativo e formativo che il servizio scolastico deve fornire nell’ambito del “tempo scuola” in tutte le sue componenti e non soltanto a quelle di tipo strettamente didattico” e dunque la permanenza nella scuola durante mensa costituisce un diritto soggettivo perfetto.
Pertanto, ribadito che la refezione è servizio locale a domanda individuale, non obbligatorio per l’ente e facoltativo per l’utente, essendo incontestabile che gli studenti nel tempo mensa debbano consumare un pasto e che la permanenza a scuola in questo orario risponde ad un diritto soggettivo, non può che conseguire che il pranzo debba essere consumato a scuola anche al di fuori della refezione scolastica.
Insomma sebbene tale diritto non sia previsto da una norma specifica (che neanche contempla l’obbligo di aderire al servizio di refezione) esso deve ritenersi sussistente con conseguente accoglimento della pretesa.
Queste le chiare argomentazioni della Corte, che non entra nel merito di come tale diritto sia poi attuato nelle singole scuole sotto l’aspetto organizzativo, essendo materia riservata all’autonomia organizzativa delle stesse.
Neanche ha preso in considerazione presunte ulteriori problematiche di merito da qualche parte avanzate.
Comunque in alcun modo risulta compromesso il diritto di chi invece decida di optare per il servizio di refezione.
Inoltre di norma, anche nella somministrazione dei pasti da parte del servizio offerto dall’ente si tiene conto di intolleranze, allergie o di diverse scelte alimentari e dunque non può esservi alcuna preoccupazione riguardo ad alunni che consumano cibi diversi né ciò incide sulla normale vigilanza giacché “contaminazioni” di vario genere sono possibili in ogni caso.
Ebbene, se è noto e vero che la sentenza faccia stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa (art. 2909 c.c.), le esposte motivazioni rendono di fatto il principio espresso generalmente invocabile.
Tuttavia l’USR Piemonte con Nota Reg. prot.n. 7480/2016 del 15 luglio 2016, dinanzi alle molteplici richieste di altri genitori che invocavano il diritto di non avvalersi del servizio di refezione, ha precisato che tali istanze non potevano essere soddisfatte, preannunciando ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello.
Non è facilmente immaginabile, in tale denegata ipotesi, come quanto argomentato nella stessa possa essere superato e smentito, ma certo ciò non avverrà nell’immediato e questo potrebbe intanto implicare il non auspicabile moltiplicarsi del contenzioso anche in sede cautelare.
Questo, e non le possibili conseguenze della scelta per il pasto domestico, rischia di determinare con l’avvio del nuovo anno scolastico il caos nelle scuole, che si troveranno al centro del conflitto, non potendo accogliere le richieste dei genitori, con enorme disagio per le famiglie e gli alunni.
Tutto ciò rischia di creare una profonda frattura tra scuola e famiglia tradendo il patto educativo.
Ma ancor più grave e che i genitori stessi appaiono divisi e contrapposti.
Invero non può non evincersi come manchino sedi di confronto istituzionale a livello territoriale.
Da quando sono stati cancellati gli organi collegiali territoriali (sopravvive solo il CSPI tra quelli previsti dal Dlgs 233/99) i genitori sono stati privati dei luoghi di interlocuzione della rappresentanza elettiva. Attualmente solo i Forum delle associazioni dovrebbero assicurare livello nazionale e regionale “una sede stabile di consultazione delle famiglie” (art. 3 DPR 301/05 che ha introdotto l’art. 5 bis del DPR 567/96).
Peraltro, nel caso che ci occupa, talune associazioni pare abbiano adottato una posizione di contrapposizione e non di mediazione finendo così per offrire ulteriori occasioni di scontro.
A maggior ragione questo dovrebbe evidenziare la necessità di un collegamento (oltre che di organismi istituzionali di rappresentanza elettiva) dei genitori della scuola per monitorare sul campo le attuali e diverse esigenze dei genitori nonché le problematiche di volta in volta sollevate e trovare soluzioni condivise. L’alleanza scuola-famiglia non può fare selezione tra i genitori.
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