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Il “disastro annunciato” dei concorsi a cattedre

Sulle prevedibili difficoltà nell’espletamento delle procedure concorsuali la nostra testata era intervenuta già nei mesi passati per mettere in evidenza i problemi strutturali che stavano alla base di un vero e proprio “disastro annunciato”.
Le prime avvisaglie c’erano state già nei mesi di dicembre e gennaio quando molti Uffici scolastici regionali iniziarono a invitare ripetutamente le scuole a “reclutare” commissari di concorso.
Ma che la situazione sarebbe stata difficile, anzi difficilissima lo si è capito esattamente il 1° febbraio e cioè quando il Miur firmò una ordinanza per autorizzare gli uffici scolastici regionali a nominare come commissari chiunque si fosse dichiarato disponibile ad accettare l’incarico.
Il disastro è tutto legato ai commi 46 e 47 dell’articolo unico della legge di stabilità che ha rivisto i compensi previsti per i componenti delle commissioni dei concorsi a cattedra che erano regolati in precedenza dall’articolo 404 del “vecchio” TU del 1994.
A seconda del numero dei candidati e del numero di sedute necessarie per portare a termine l’intera procedura concorsuale i compensi potevano variare da 850 euro circa fino a 6.800; nel caso in cui il componente della commissione chiedesse l’esonero dal servizio il compenso veniva azzerato.
Con la legge di stabilità, però, i compensi sono stati drasticamente ridotti: 251 euro per il presidente, 209 per i componenti di commissione e 0,50 euro di “compenso integrativo” per ciascun elaborato o candidato esaminato, con la precisazione che in ogni caso il compenso complessivo non può eccedere l’importo di 2.051,70 euro (aumentato del 20% per i presidenti).
Ovviamente non c’è neppure bisogno di precisare che stiamo parlando di compensi lordi (il netto è pari più o meno alla metà).
Non solo, ma in precedenza si poteva optare per l’esonero dall’insegnamento per tutta la durata dei lavori della commissione, mentre la legge di stabilità ha cancellato questa possibilità.
Senza considerare che ormai i dipendenti statali non possono più essere autorizzati all’uso del mezzo proprio (e se vogliamo essere tignosi bisogna anche dire che se si utilizzano i mezzi pubblici non si ha neppure il diritto ad ottenere il rimborso dei biglietti degli autobus urbani).
A questo punto non c’è da stupirsi che non si trovino insegnanti disposti a lavorare a queste condizioni.
Ma il dato più drammatico di cui poco si sta parlando è forse un altro: se le regole di “ingaggio” di presidenti e commissari non verranno cambiate d’ora in poi il reclutamento dei docenti potrebbe essere affidato non a professionisti seri e preparati ma a chi sarà disposto a lavorare per quattro spiccioli.

Reginaldo Palermo

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