Perchè oramai viviamo di cellulare, e senza cellulare non possiamo nemmeno immaginare le nostre giornate. Si tratta di un tema, dunque, che giustamente riprende le prime pagine soprattutto se pensiamo al compito della scuola, che è anzitutto quello di mettere in discussione il mondo dell’apparire, cioè dell’immediato. Ed il cellulare, oggi, è lo strumento che più di altri ci sta vincolando, non solo gli adolescenti, al mondo dell’apparire, dell’immediato. Per il quale conta più il mezzo del messaggio. Mentre la scuola, con la “fatica del concetto”, ha il compito contrario, cioè la mediazione dell’immediato, per una ricerca, per un sapere che vada oltre, che non si accontenti del solo freudiano “principio di piacere”.
La scuola invece presuppone e implica la ricerca dell’oltre dell’immediato, del valore, del senso e del limite dell’uso degli strumenti, i quali non sono i fini, ma, appunto, solo strumenti, dunque non essenziali. Se, dunque, a prima vista è ben comprensibile il consenso che spinge per una sorta di proibizionismo nei confronti del cellulare a scuola, sia per gli studenti come per i docenti, al dunque, invece, rischia di essere solo una boutade. Non che, comprendiamoci, ogni tanto mettere da parte i nostri cellulari, anche per tutti noi, male non fa. Lasciare, cioè, per qualche attimo, per qualche ora, il cellulare spento penso faccia solo del bene, nel senso di non lasciarsi schiavizzare dallo strumento, che sia cellulare o altra tecnologia, nella nostra vita.
Perché, lo ripeto, gli strumenti sono sempre strumenti, a scuola come nella vita, ma di fatto stanno diventando da mezzi a fini, cioè prolungamento del nostro io, dunque insostituibili. Ed è questo in punto delicato, sul quale la scuola può davvero fare la differenza. Ma questa differenza, come hanno deciso due scuole, una Bologna ed una a Ravenna, significa totale negazionismi, oppure occasione di riflessione educativa, per aiutare tutti a cogliere, nell’uso, il senso del limite tra mezzo e fine? Potremmo cavarcela facilmente col solo proibizionismo, ma potrebbe diventare un’occasione persa per aiutarci a riflettere, ad imparare dunque ad un uso intelligente. Ricordo bene, ad esempio, alcuni docenti che, in poche occasioni, ai fini di una ricerca in rete, hanno invitato gli studenti ad utilizzare il loro cellulare, ma fino ad un certo punto. Per poterlo poi riporre nello zaino, silenziato.
In altre parole, vale più aiutare all’uso educativo uno strumento, oppure limitarsi al solo proibizionismo? La risposta va pensata classe per classe, scuola per scuola, in ragione della capacità e della autorevolezza dei docenti, e delle regole del buon uso a scuola delle tecnologie. Per cui, come si è capito, il proibizionismo vale per le situazioni limite, ingovernabili, ma non deve valere sempre. Perché la scuola è un ambiente educativo a tutto tondo, ed il nostri giovani vanno accompagnati all’uso intelligente e saggio. Credo sia questo il valore aggiunto da perseguire, che costa maggiore fatica rispetto al facile giudizio negativo, troppo sbrigativo per la nostra società complessa.
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