È un errore assegnare un alunno disabile ad un giovane insegnante senza specializzazione ed alcuna esperienza sul sostegno: tanto che se quel docente commette degli sbagli, potrebbe non esserne nemmeno consapevole. È questo il senso della sentenza del Tribunale di Torino che il 13 ottobre ha assolto una giovane insegnante di potenziamento di una scuola media dall’accusa di non avere impedito atti di bullismo in classe, in particolare durante la ricreazione. Per il giudice “il fatto non sussiste“, poiché la docente era inadeguata al ruolo. Mentre il docente di sostegno, specializzato e ritenuto colpevole, è uscito dal procedimento patteggiando un anno.
L’accusa: concorso in atti persecutori
Come avevamo riferito nel mese di settembre, la docente rispondeva di concorso in atti persecutori perché, secondo la procura, che aveva chiesto un anno e sei mesi di reclusione, aveva l’obbligo giuridico di vigilare e intervenire. Solo che non si trattava del docente di sostegno.
Come rilevato dall’avvocato difensore dell’imputata, Calogero Meli, la giovane docente di potenziamento non aveva alcuna esperienza con disabili: la sua presenza in aula era legata ad un progetto di educazione alla legalità per arricchire l’offerta formativa.
Le vessazione verso l’alunno disabile
Lo studente disabile nel corso della giornata scolastica, soprattutto a ricreazione, diventava oggetto di scherno da parte di un compagno di classe “bullo”, non imputabile, attraverso continui sputi, schiaffi, pizzicotti e umiliazioni: ascoltato dal giudice, lo stesso “bullo” ha chiesto scusa e scritto una lettera nella quale ammette di avere “fatto cose orribili”.
Secondo le testimonianze, in quelle occasioni la giovane prof non avrebbe vigilato. E quindi sarebbe venuta meno ad una prerogativa dell’insegnamento, prevista anche dal contratto.
La difesa vincente dell’avvocato
Per il legale della donna, la sua assistita è stata “destinata ad affiancare un insegnante di sostegno”: solo che in questo modo si è prodotto, ha continuato l’avvocato, “un cattivo esempio di gestione delle risorse umane di cui non solo non ha colpa, ma è vittima”.
“Ci siamo sentiti – ha detto il suo legale all’Ansa – ed era in lacrime. E’ una sentenza giusta che, finalmente, le ha restituito la dignità. Sul banco degli imputati avrebbe dovuto esserci la scuola, non la mia assistita”. E il tribunale gli ha dato ragione.
Una curiosità: il fatto, risalente all’anno scolastico 2015/16, venne preso in considerazione solo a poche settimane dalle fine delle lezioni, quando alcuni allievi scrissero quanto era accaduto all’interno di un tema.
Alcuni studenti scrissero che quando suonava la campanella della ricreazione “i professori lasciavano la classe o stavano al cellulare”. Ed era il momento in cui il “bullo” entrava in azione.