Un docente non può insultare augurare la morte alle forze dell’ordine schierate per mantenere l’ordine pubblico e poi tornare il giorno dopo fare il suo lavoro a scuola: il tribunale ha confermato il licenziamento di Flavia Lavinia Cassaro, la maestra 38enne che il 22 febbraio del 2018, durante una manifestazione contro Casapound in un hotel del centro di Torino, fu filmata mentre inveiva contro la polizia.
Cassaro, che era stata anche indagata dalla procura di Torino per oltraggio a pubblico ufficiale, aveva impugnato il provvedimento dell’amministrazione con il patrocinio del sindacato Cub Scuola. Ora il giudice del capoluogo piemontese ha confermato la decisione dell’Usr piemontese, secondo il quale la donna si era macchiata di un “grave” comportamento, l’avere apostrofato le forze dell’ordine con “vigliacchi” e “fascisti: un modo di fare incompatibile per un insegnante della scuola pubblica.
Per il tribunale torinese, come già scritto dalla Tecnica della Scuola, è “evidente il contrasto tra le finalità educative e il ruolo dell’insegnante e l’atteggiamento incontrollato e offensivo nei confronti delle forze dell’ordine tenuto dall’insegnante”.
Perché gli insegnanti, ha continuato il giudice nella sentenza, “hanno compiti non solo legati all’istruzione dei bambini e dei ragazzi, ma anche educativi”.
Inoltre, “per i docenti di scuola primaria, i compiti educativi sono ancora più marcati rispetto ai colleghi degli altri gradi scolastici: hanno a che fare con bambini che non hanno sviluppato un senso critico e sono quindi portati ad ‘assorbire’ tutto ciò che viene trasmesso loro dall’insegnante, pertanto, un comportamento che violi le regole di civile convivenza e diffonda un senso disprezzo per lo Stato e i suoi comportamenti, tenuto dalla persona che dovrebbe essere modello di comportamento è ancora più grave”.
E quest’ultima considerazione del giudice è la frase chiave della sentenza: un docente deve mantenere sempre un comportamento consono al suo ruolo.
Prendere le distanze da questa condizione, al tempo dei social e dei video che in un batter d’occhio diventano virali e quindi potenzialmente visibili a studenti e famiglie, può comportare gravi conseguenze. Ad iniziare da quelle professionali: come minimo, in pratica, scatterebbero delle sanzioni disciplinari.
Ad un passo dal licenziamento arrivò anche, un paio d’anni fa, una docente di inglese del liceo Marco Polo di Venezia, rea di avere postato delle frasi pesantissime su Facebook, contro i migranti: “bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani tanto sono tutti futuri delinquenti” e “speriamo che affoghino tutti… che non se ne salvi nessuno“, aveva scritto.
Qualche mese dopo, la donna patteggiò, assieme al suo legale, il passaggio nel comparto Ata, proprio per non rischiare di perdere il posto di lavoro.
Trova piena conferma, nelle aule di tribunale, quindi, la nostra posizione, considerata da alcuni lettori troppo severa, relativa al fatto che un’insegnante non si può mai togliere il suo “vestito” di educatore, nemmeno quando è fuori scuola.
Un docente, in pratica, non può condurre comportamenti incompatibili con la sua funzione primaria di educatore, prima ancora che di insegnante: per il giudice, è una condizione assoluta.
Non è possibile per il corpo docente vestirsi da estremista che insulta le forze dell’ordine. Come non può diventare un tifoso di curva che intona cori pesanti contro gli avversari e i poliziotti.
In conclusione, il fatto che il ruolo di “pubblico ufficiale” si esaurisca nel momento in cui si esca da scuola, non giustifica l’assunzione di comportamenti illeciti e irrispettosi. Ancora di più se attuati contro altri pubblici ufficiali, quindi dipendenti dello Stato.
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