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Il docente orientatore: un problema mal posto

Il ministro Valditara ha precisato le priorità d’avvio dell’attività dei docenti orientatori; saranno “Gli studenti delle classi del secondo biennio e dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado” a beneficiarne.

Una scelta carica di significato che ne evidenzia il costrutto generativo: la formazione dei giovani è la variabile dipendente, il mercato quella indipendente. Come spiegare altrimenti la scelta di orientare persone che sono al termine del loro percorso scolastico? Si tratta di una sovrapposizione: i Piani Triennali dell’Offerta Formativa, che caratterizzano la vita delle scuole, infatti, sono elaborati dopo aver interloquito con gli “enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio”.

Si può pertanto affermare che la figura dell’orientatore appesantisce e complica l’attività scolastica.

L’esigenza di introdurre un orientatore, inoltre, è una formale denuncia dell’inefficacia del servizio. Essa implica sia il mancato “sviluppo della persona umana, adeguata ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti”, sia l’inconcludenza dell’attività della scuola secondaria di primo grado che deve “fornire occasioni per acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità e risorse, svolgendo un fondamentale ruolo educativo e di orientamento per il successivo percorso di istruzione e formazione”.

La critica al servizio formativo avrebbe dovuto innescare iniziative volte alla sua revisione e, in particolare, alla puntuale e corretta applicazione delle norme sull’autonomia delle istituzioni scolastiche che “si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana”.

Enrico Maranzana

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