I lettori ci scrivono

Il dramma della disciplina che non c’è

La viva reattività e la foga discutibile di alunni costantemente catturati dall’irresistibile richiamo del divertimento, le ricorrenti difficoltà a ritrovare se stessi ed a lasciarsi guidare dall’esperienza morale, gli esiti negativi della frammentazione e dello sgretolamento delle coscienze, lo svuotamento del meraviglioso cammino formativo in famiglia, a scuola, nella chiesa, hanno quasi definitivamente eliminato quell’alone di mistero che avvolgeva la figura del docente, interrotto e rotto quel silenzio, quell’ordine e quella disciplina che accompagnava la quotidiana azione educativa.

Oggi, alunni e famiglie premono da ogni parte, hanno smesso di pensare alla scuola e all’educazione come ad un fatto utile e positivo, sono diventati restii a comportamenti di razionale cortesia e si agitano nella difficile ricerca di una linea di cambiamento, di un equilibrio, di un compromesso, di uno sforzo conoscitivo e programmatico che sani le fratture sempre più frequenti tra gli eccessi dei giovani e le richieste educative.
Come uscire, allora, dal carcere del disordine, dal caos e dall’indisciplina nelle aule? Come recuperare l’umano bisogno di rispetto e l’esigenza di un ordine che, quotidianamente, sfugge e frana tra le mani? Come riprendere in mano la situazione, colmare i vuoti tra intervento e risposta educativa e incidere positivamente su comportamenti strani, diversi, scomodi, irregolari e disfunzionali?

I giovani sono pronti a sottoporre al vaglio il loro modo di vivere l’esperienza scolastica, a riconoscere le manchevolezze, a cambiare comportamenti e stili di vita, a considerare lo scarto tra le energie impegnate in campo educativo e i risultati raggiunti?

Per rispondere a questi interrogativi bisogna richiamare il fondamento, la profondità e il valore etico dell’educazione che deve svolgersi in un clima di reciprocità e di libertà.
Nel tempo, alcuni processi sociali, istituzionali e culturali hanno espropriato la scuola di competenze, di conoscenze, di risorse, di esperienze, di vibranti emozioni che arricchivano il cuore, liberavano dai legami dell’ignoranza e proiettavano in un precipuo universo di competenze.

Oggi, bloccata e impotente di fronte a quelli che possono essere considerati come gli insuperabili ostacoli educativi, la scuola non è più in grado di abbattere quel muro di pensieri caotici, di idee e modi di agire ribelli che caratterizzano le azioni individuali e di gruppo di molti giovani e, per essere ben orientati, necessitano di un momento di rottura con il passato e, soprattutto, la ferma volontà di una crescita progressiva propiziata da gesti di attenzione, di buona educazione e di amore.

Molti insuccessi e disordini hanno la loro radice nelle difficoltà, da parte delle famiglie, a riconoscere la forza del programma educativo, la forza dell’istruzione, ad allearsi con i docenti, a sottoscrivere un atto di fiducia che muova dalla rinuncia a norme o pseudo obblighi culturali oppositivi e devianti.

Solo una fiducia incondizionata nella forza e nel valore educativo della scuola, nella sua capacità di elaborare progetti formativi capaci di far compiere il salto di qualità può ridare fiato a molte famiglie, togliere loro la sensazione di dover portare un peso superiore alle loro forze e di lottare contro nemici troppo forti.

Niente è più importante, così serio e così profondo di un cammino educativo che svegli una premurosa e coraggiosa azione di responsabilità nella famiglia e nella società.
L’adolescenza, come fase umana di sviluppo, è ritmata da una perenne conflittualità, costituisce un particolare momento di passaggio e di rottura. In essa vi sono importanti zone di diversità, di indipendenza, di espressività, di creatività, di cambiamento, di contrasto con la scuola che incidono notevolmente su relazioni e modi di vivere continuamente insidiati e minacciati dalla fragilità dei rapporti familiari, sociali, interpersonali.

Se educare vuol dire aiutare i ragazzi a trovare la propria identità, a seguire un determinato percorso, perché tanti ostacoli, dubbi, incertezze, perplessità, difficoltà nel portare avanti la strada decisa, impegnativa ed energica del rimprovero, della correzione e della punizione?

È giusto impedire a qualche ragazzo di comportarsi male, oppure bisogna lasciargli le briglie sciolte in azioni, esperienze e atteggiamenti che, diversamente, potrebbero diventare pericolosi e devianti?

Anche se il cammino educativo non ha mai uno svolgimento tranquillo ed è segnato dalla resistenza e dalla ribellione, istruzione, educazione, comunione, impegno, rispetto, ordine e disciplina devono essere sempre e comunque le leggi vitali della scuola.
Oggi, purtroppo, si tende a ridimensionare ed emarginare questi concetti e gli alunni si caratterizzano sempre più come fruitori passivi di un messaggio senza un progetto, senza una volontà, senza un preciso desiderio di lottare e di vincere la grande sfida della lealtà e della legalità.
Rimproverare non è il semplice buttare in faccia le colpe. Il verbo greco significa mostrare il torto, ovvero, contestare le legittimazioni improprie che stanno dietro ai comportamenti sbagliati.

Il buonismo, la tendenza a giustificare e un distorto concetto di uguaglianza stanno, soprattutto, frenando e penalizzando chi, nella scuola, ha solo voglia di fare e di imparare.
Le famiglie, dunque, nel rapporto personale con i figli, devono entrare, come recettori dialoganti, vigilanti e attivi, nel santuario della coscienza e far capire che il sudore dell’anima è luce ad ogni alba ed elemento essenziale del vivere quotidiano.
Senza disciplina non vi può essere una vera formazione umanizzante.

Pertanto, il punto fondamentale di ogni impegno educativo non è accontentare per evitare il peggio, ma chiedere molto ai ragazzi, impegnarli fortemente, non risparmiare loro il sacrificio di recidere i tralci infruttuosi dei capricci e degli istinti negativi.

Fernando Mazzeo

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