Il Fatto sonda “La scuola che vorrei”

Ma soprattutto, dice il sondaggio, i lettori del Fatto sembrano non avere dubbi: la scuola che vorrebbero è innanzitutto pubblica. Basta finanziamenti alle private e alle paritarie.
Per quanto riguarda programmi e materie di studio, si sente una forte esigenza di incrementare le ore di inglese, a partire già dalla scuola primaria, affiancandole lo studio di un’altra lingua, ma con un approccio diverso: più “conversation” e applicazioni al vissuto quotidiano.
La spaccatura è invece abbastanza netta sull’opportunità di conservare alcune materie tradizionali della scuola italiana. Via alcune materie anacronistiche come il latino e il greco, o la storia antica specie nei licei scientifici che dovrebbero – a detta di alcuni lettori – cedere il passo all’informatica e alla tecnologia.
Ma c’è anche chi chiede di puntare di più proprio sulle materie classiche, ed in particolar modo sulla storia dell’arte, che rappresentano la cifra distintiva della scuola italiana rispetto al resto del mondo. Indicazioni discordanti, che muovono probabilmente in direzione di una riforma complessiva del ciclo di studi, da accorciare e magari specializzare maggiormente già negli ultimi anni della scuola secondaria.
Condivisa, invece, è l’opinione che, a prescindere dalle materie, gli insegnamenti vengano condotti in maniera troppo teorica e speculativa, senza pratica. Per far questo sarebbe il caso di approntare finalmente quella rivoluzione digitale di cui si parla da anni. E più in generale di migliorare infrastrutture e strutture della scuola, troppo spesso fatiscenti.
Per quanto riguarda gli insegnanti sono costretti a svolgere il proprio lavoro in condizioni inaccettabili, ma a cui pure si chiede un salto di qualità rispetto al passato. Le storie di precari sfruttati e malpagati sono all’ordine del giorno. Tuttavia, la qualità dei docenti italiani non viene ritenuta del tutto soddisfacente.
Molti studenti lamentano lo scarso aggiornamento professionale ed è forte la richiesta di una sistema di valutazione delle scuole, ma non affidata all’Invalsi.
Quanto al rebus sul reclutamento, le richieste sono tante e contrastanti:
sanare la posizione dei precari storici, esaurendo una volta per tutte le graduatorie e per i vincitori del Tfa il diritto all’insegnamento evitando i Pas
Per il futuro, invece del concorso, meglio, il metodo britannico e assegnare agli istituti il compito di assumere i docenti migliori. Ma un sistema simile in Italia potrebbe funzionare?
È una delle tante domande a cui il ministro Maria Chiara Carrozza dovrà rispondere. Perché, al di là del sondaggio online, resta del Miur la responsabilità di trovare le soluzioni giuste ai problemi della scuola. Il ministro – sottolineano i lettori – non lo dimentichi.

Pasquale Almirante

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