Quest’anno sembra che uno dei frutti un po’ appassiti della Società dello Spettacolo, il Festival di Sanremo, per trovare nuovo vigore, non abbia avuto esitazione ad allontanarsi dal puro show per inoltrarsi nel “deserto del reale”.
Dopo il “caso Zelensky”, che ha fatto spargere fiumi di inchiostro, il Festival ha tirato in ballo vari argomenti scottanti, tra cui la scuola e la condizione femminile. Alla scuola era (più o meno) collegato il monologo della giornalista Francesca Fagnani, scritto insieme con i ragazzi detenuti nel carcere di Nisida.
Nulla da eccepire sui tempi del dialogo, sull’alternarsi del discorso diretto, che doveva rendere la viva voce dei ragazzi detenuti, al commento. Tutto da eccepire, invece, sulla estrema superficialità con cui è stato condotto lo pseudo-ragionamento, che in realtà era un susseguirsi bozzettistico di situazioni e personaggi, giusto come i più immaginano i ragazzi detenuti nel carcere di Nisida: confusi o arroganti, senza risposta a chi chiede loro perché abbiano infranto la legge. All’insegna del conformismo di stretta osservanza para-progressista la nota sulla scuola: “La scuola l’hanno abbandonata, ma nessuno li ha mai cercati. […] Agli adulti in carcere ho chiesto: “Cosa cambieresti della tua vita?” E mi hanno risposto: “Sarei andato a scuola”. […] Lo Stato deve combattere la dispersione scolastica e garantire pari opportunità ai più giovani. Lo Stato dovrebbe essere più attraente dell’illegalità”.
Risolto in poche parole l’abbandono scolastico: “nessuno li ha mai cercati”. Fagnani forse ignora che Nisida è vicina a quella Napoli patria ideale dei “maestri di strada”, del cui lavoro ci ha lasciato toccante testimonianza la compianta Carla Melazzini nel suo “Insegnare al principe di Danimarca”.
Ma lei, giornalista bella e famosa, che ne sa degli sforzi che queste persone fanno per sottrarre bambini e ragazzi ad un destino che sembra già scritto? Facile dire: “Nessuno li ha mai cercati” sul palco dell’Ariston, truccata come una diva e vestita in modo perlomeno incongruo rispetto al tema di cui sta parlando. Ma guai criticare l’abito, soprattutto se di una donna! E allora critichiamo pure il monaco-Fagnani che si spinge a dire che “lo Stato deve essere più attraente, più sexy dell’illegalità”.
Chi cercherà il testo scritto del monologo il “più sexy” non lo troverà, ma queste due parole sono state scandite belle chiare sul palco dell’Ariston. Che lo Stato debba essere “più sexy”, vale a dire sessualmente eccitante, è giocare indegnamente con le parole.
Laddove ci sarebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione sociale, per ridare a tanti bambini quell’innocenza che il fatto stesso di nascere in mezzo al degrado ha loro negato, laddove la scuola dovrebbe offrire talvolta asilo e cibo a questi innocenti, in uno sforzo continuo e collettivo, la vacua Fagnani se la cava auspicando uno “Stato più sexy”.
E non è finita qui. L’ultima “figurina” che mi ha colpito è quella di Chiara Ferragni. I quotidiani si sono occupati molto di lei: ha fatto bene? L’abito era di cattivo gusto? Il messaggio sociale è o non è strumentale? Tra i commenti che ho letto uno mi ha colpito, poiché pronunciato da una docente di Semiotica dei nuovi media, Giovanna Cosenza (Il Fatto Quotidiano 11 febbraio 2023). Dopo ampia disamina dei pro e dei contro, Ferragni viene promossa a pieni voti perché ha parlato di qualcosa di cui si parla poco, secondo la professoressa Cosenza. “Nel bene o nel male, purché se ne parli, diceva Oscar Wilde. […] Ma dei problemi delle donne, purtroppo, in Italia non si parla abbastanza. Né si fa abbastanza. Perciò, conclude, non solo una, ma 10, 100, 1000 Ferragni.
Se questa conclusione l’avesse fatta una Fagnani qualsiasi, non mi sorprenderei; ma che la faccia una docente universitaria di Semiotica mi fa specie.
Il monologo di Ferragni non ha parlato delle donne; è stato invece una performance all’insegna del più puro narcisismo, ed uso questa parola in senso clinico, ad indicare una patologia pervasiva che affligge i nostri tempi e che, purtroppo, fa presa soprattutto sui più giovani. Ferragni si rivolge alla bambina che è stata, in una confessione che non sappiamo se falsa come Giuda o semplicemente impudica.
Ecco che Ferragni snocciola i grani del suo rosario fatti di banalità di base: “La gente mi conosce e mi chiede selfie insieme”. “È un pensiero fisso nella mia testa: non sentirmi abbastanza”.
A questo punto ci chiediamo se il delirio narcisistico abbia un’incrinatura. Ma poi arriva la conferma che no, proprio non se ne parla di uscire dal bozzolo dell’auto-compiacimento: la Chiara-adulta si rivolge a Chiara-bambina: “Tutte quelle volte che non ti sei sentita abbastanza bella, intelligente, lo eri e sai, in certi momenti ti sentirai ancora così”.
Evviva! Narciso ha vinto di nuovo.
Infine, la sintesi del Ferragni-pensiero: “Un amico un giorno mi ha detto: nessuno fa la fila per delle montagne russe piatte”. Si traduca pure: “la vita è fatta a scale, c’è chi scende e c’è chi sale” oppure “meglio un giorno da leone che una vita da pecora”. E se qualcosa (incredibile) ci fa paura? “Che se una cosa ti fa paura è la cosa più giusta da fare”. Meglio non intendere in senso letterale: se ci fa paura saltare dal terzo piano, è preferibile non farlo. I consigli giungono non richiesti: “Celebra sempre i tuoi successi, non sminuirti mai di fronte a nessuno”.
A fronte di questo scellerato baedeker per affrontare la vita, in cui l’individualismo esasperato si traduce nell’apprezzamento totale del Sé, cosa sono le intemperanze di un giovanotto viziato e privo del necessario autocontrollo? Blanco si è attirato le ire di buona parte del ceto docente, che ha riconosciuto nel suo comportamento un pessimo esempio per i ragazzi. Può essere: senz’altro dare in escandescenze non ha nulla di positivo – ma proprio perché non ha nulla di positivo è facile prendere le distanze e disapprovare il gesto. Invece, le due “monologanti” di cui sopra sono, mediamente, state apprezzate, pur essendo, da un punto di vista educativo, anche loro pessimi esempi, cascami di una società ipocrita.
Farsi portavoce di conformismo perbenista e di marca vagamente (molto vagamente) progressista non aiuta proprio nessuno a superare o a mettere a fuoco problemi reali. La violenza reale o psicologica contro le donne, la loro sistematica sottovalutazione restano tali anche dopo lo scialbo discorso di Ferragni.
Le parole con cui accompagna la sua apparizione con l’abito “nudo” ci dicono quale sia la logica stringente che governa il pensiero dell’imprenditrice: “Penso che il corpo di noi donne non deve mai generare odio o vergogna”. E questo, cosa c’entra con l’abito adesivo (non solo aderente) firmato Christian Dior? E poi, chi odia, chi si vergogna? Quelle come lei sprecano parole sulla mercificazione del corpo della donna e poi costruiscono, su questo stesso corpo, un vero e proprio impero. E Fagnani non produce migliori risultati quando parla dei giovani detenuti di Nisida.
La mia speranza è che i ragazzi si siano tenuti lontani da questa kermesse diseducativa, in cui si è passati dalla “piccola Katy” dei Pooh alla “piccola Chiara” e cioè da un passato rugoso e mummificato, nonostante i lustrini, ad un presente vuoto, in cui una ricca signora semi-svestita sproloquia su donne, vita e libertà.
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