Mandare un figlio al nido costa in media ad una famiglia italiana ben 332,02 euro mensili, quasi cinque euro in più dello scorso anno: un cifra che va ulteriormente ad intaccare il potere di acquisto dei bilanci familiari, in particolare dei lavoratori dipendenti. La denuncia è stata fatta da Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, a commento dei dati della V indagine sui costi della scuola dell’infanzia nelle 104 città capoluogo di provincia italiane.
La ricerca ci ha detto che per far frequentare la scuola ad un bimbo, in media 20 giorni al mese per 10 mesi l’anno, i genitori si privano di oltre il 10% del loro budget: 262,66 euro, (2.626,60 euro annui), che equivalgono all’8,5% del budget familiare, per le normali tasse di frequenza (con un incremento medio dell’1,5% rispetto all’anno scolastico precedente); a cui si va ad aggiungere la refezione scolastica, la cui spesa media mensile è di 70 euro (700 euro annui) equivalenti al 2,3% del reddito familiare.
L’indagine ha preso a riferimento una famiglia, composta da due lavoratori dipendenti, con due figli a carico, di cui uno minore di 3 anni, che frequenta l’asilo nido e l’altro che frequenta la scuola materna o elementare ed usufruisce del servizio di refezione scolastica. La famiglia oggetto della ricerca, ha un reddito lordo di 36.000 euro annui (21.000 euro un coniuge e 15.000 euro l’altro), che corrispondono una volta detratte le imposte, a 30.900 euro netti l’anno. La dichiarazione Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) di questa famiglia, con una casa di proprietà, corrisponde a 17.812 euro annui.
La ricerca ci ha detto che per far frequentare la scuola ad un bimbo, in media 20 giorni al mese per 10 mesi l’anno, i genitori si privano di oltre il 10% del loro budget: 262,66 euro, (2.626,60 euro annui), che equivalgono all’8,5% del budget familiare, per le normali tasse di frequenza (con un incremento medio dell’1,5% rispetto all’anno scolastico precedente); a cui si va ad aggiungere la refezione scolastica, la cui spesa media mensile è di 70 euro (700 euro annui) equivalenti al 2,3% del reddito familiare.
L’indagine ha preso a riferimento una famiglia, composta da due lavoratori dipendenti, con due figli a carico, di cui uno minore di 3 anni, che frequenta l’asilo nido e l’altro che frequenta la scuola materna o elementare ed usufruisce del servizio di refezione scolastica. La famiglia oggetto della ricerca, ha un reddito lordo di 36.000 euro annui (21.000 euro un coniuge e 15.000 euro l’altro), che corrispondono una volta detratte le imposte, a 30.900 euro netti l’anno. La dichiarazione Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) di questa famiglia, con una casa di proprietà, corrisponde a 17.812 euro annui.
La retta per l’asilo nido è riferita sia alla frequenza a tempo pieno – circa 9 ore – che al tempo “normale”, tipico delle città del Sud, in cui il servizio viene erogato con orari ridotti – al massimo fino alle ore 15.00.
Come sempre, i costi variano sensibilmente tra città e città, anche in relazione ai servizi offerti: il top è Belluno, con 565,40 euro mensili; mentre a Vibo Valentia frequentare una scuola dell’infanzia costa alla famiglia appena 123,00 euro mensili. Per questo, sostiene la Uil, sarebbe opportuno approvare una legge che permetta di estendere le detrazioni delle rette degli asili nido dalla dichiarazione dei redditi a tutte le spese collegate alla frequenza della scuola dell’infanzia.
Come sempre, i costi variano sensibilmente tra città e città, anche in relazione ai servizi offerti: il top è Belluno, con 565,40 euro mensili; mentre a Vibo Valentia frequentare una scuola dell’infanzia costa alla famiglia appena 123,00 euro mensili. Per questo, sostiene la Uil, sarebbe opportuno approvare una legge che permetta di estendere le detrazioni delle rette degli asili nido dalla dichiarazione dei redditi a tutte le spese collegate alla frequenza della scuola dell’infanzia.
Ma ci sono anche altre proposte: Loy chiede ad esempio ai Comuni “un gesto di responsabilità nel mettere in campo azioni concrete per la salvaguardia del potere di acquisto dei salari e delle pensioni e di chi perde il lavoro sulla scorta di identiche iniziative intraprese da alcuni Comuni “virtuosi” quali Bologna, Novara, Rimini, Ferrara, Pontedera (Pisa)”, come evitare incrementi di tariffe o riduzione o l’esenzione delle rette i lavoratori che sono in cassa integrazione o che hanno perso il posto di lavoro.
Se i costi salgono, il problema di accesso e di liste di attesa per accedere rimane sempre nella sua interezza. Soprattutto per i bimbi fino a 3 anni. Mediamente l’Italia soddisfa poco più del 10% delle domande al nido, mentre le indicazioni dell’Ue sono di accontentare almeno un bambino ogni tre. Sarebbe stato utile anche sapere il costo medio sostenuto dalle famiglie europee: difficile comunque pensare che possa essere più alto di quello italiano.
Se i costi salgono, il problema di accesso e di liste di attesa per accedere rimane sempre nella sua interezza. Soprattutto per i bimbi fino a 3 anni. Mediamente l’Italia soddisfa poco più del 10% delle domande al nido, mentre le indicazioni dell’Ue sono di accontentare almeno un bambino ogni tre. Sarebbe stato utile anche sapere il costo medio sostenuto dalle famiglie europee: difficile comunque pensare che possa essere più alto di quello italiano.