Nel paragrafo della “musica del fine secolo”, Ladislao Mittner inserisce Gustav Mahler, Bruckner e Richard Strauss. Un periodo cioè in cui la musica della Mitteleuropa tenta, da un lato i richiami verso i più grandi interpreti del sinfonismo e del melodramma, come Beethoven e Wagner, e dall’altro cerca nuove sperimentazioni.
Vienna capitale culturale d’Europa
Tuttavia è la Vienna del fine 800 la capitale culturale d’Europa e non solo per la sua egemonia politica (dal momento che i suoi domini vanno dall’Ungheria all’Italia, dall’Est impregnato di cultura orientalizzante agli assolati confini dell’arte mediterranea e di cui il Valzer degli Strauss è l’espressione più significativa), ma anche perché essa è la capitale ideale e morale d’Europa, visto che tutta la intellighenzia di lingua tedesca opera e si afferma proprio nell’orbita di questa straordinaria città, scavalcando la stessa Berlino: da Freud a Schinnzler, da Kokoschka a Klimt, da Schoenberg a K. Kraus, da Kandiskj a Hofmannsthal e Musil (Kokoschka, Schonberg, Klimt, Kandisky facevano parte del gruppo espressionista austriaco: Il Cavaliere azzurro, Der blau Ritter).
La capitale dell’Impero Austro-ungarico, la grande Vienna, come viene chiamata, è dunque un crogiolo eccezionale di creatività e di sperimentazioni artistiche che però lo scoppio della prima guerra mondiale, con la successiva crisi politica e la conseguente caduta dell’Impero, porterà a conclusione.
Ma c’è un altro elemento significativo da sottolineare e cioè che Vienna sarebbe stata la “Città dei paradossi” e che i valzer, la musica e le stesse operette fossero quasi un tentativo patologico e un bisogno di sfuggire dalla dura realtà della vita che si respirava in questa “Città dei sogni”.
Il valzer e il Danubio
Il Danubio blu di Strauss infatti fu scritto subito dopo la disfatta di Sadowa da parte della Prussia, mentre “Il Pipistrello” subito dopo il tracollo della Borsa del 1873. Ma sarebbe stata pure una città contraddittoria e pettegola che non avrebbe dato il giusto merito ai grandi eroi della cultura tranne a restituirglieli dopo la morte.
In ogni caso è il fine secolo della cultura austriaca che si pone il problema della Gesamtkunstwerk, dell’opera d’arte totale, già teorizzata ai primi dell’ottocento e individuata a livello teoretico, se non nella prassi, nel drammaturgia della Grecia classica. Fra l’altro la filosofia idealistica dissertava a lungo su questa materia individuata appunto nel dramma della classicità greca dove l’opera d’arte totale trovava già espressione di sé, della sua completezza e della sua unità compositiva. Sulla scena del teatro greco infatti si consuma sia la poesia, nei versi del drammaturgo, sia la musica degli strumenti presenti, sia la parola cantata dal coro, e sia la danza degli stessi corifei, insieme alla sacralità stessa che il teatro di per sé possiede e rappresenta al pubblico.
Unità fra contenuto e forma
Sicuramente la ricerca esasperata di quest’arte totalizzante, dell’ unità inscindibile fra contenuto e forma, dell’intima e inscindibile sinergia fra arti affini, tra parola, musica, pittura, architettura, scultura, danza, gesto è da collocarsi all’interno della crisi del fine 800 primi 900, così come la teorizzazione wagneriana del Wort-Ton-Drama si inscrive in quell’altra crisi politica e sociale della Germania di metà ottocento e di cui la “morte di dio”, annunciata negli scritti di F. Nietzsche, era stata la sua apparenza massima.
Sarebbe quindi la crisi sociale e politica che induce gli artisti a trovare nell’arte la soluzione dei problemi esistenziali dell’uomo.
Nella ricerca dell’arte totalizzante, già accennata e per certi versi risolta nella Nona sinfonia di Beethoven, il palcoscenico appare il luogo ideale di questa improbabile ma ricercata sintesi, il luogo dove esprimere l’inesprimibile e dove è possibile realizzare la fusione delle arti, della poesia e della musica nel canto, della poesia e della pittura nella danza, così come la tragedia greca aveva rappresentato e così come il melodramma tenta di rappresentare senza però riuscirci del tutto.
Wagner e l’arte totale
Rimane fermo tuttavia il fatto che l’unità spirituale che Wagner e i suoi epigoni ricercavano nella Gesamtkunstwerke all’interno del dramma musicale crea degli oppositori e dei critici più propensi alla musica tradizionale che alla musica dell’avvenire di intuizione wagneriana.
Nel 1902 è comunque a Vienna che la sperimentazione viene tentata e proprio all’interno della XIV Esposizione il cui allestimento viene affidato a Gustav Klimt che chiede la collaborazione di Gustav Mahler per rendere “visibile la musica” attraverso un sistema complesso di figure e di spazi di ascolto che coinvolgono lo spettatore sul piano emotivo per poi estasiarlo nell’ebbrezza dionisiaca cara a Nietzsche.
La musica dodecafonica
In questo clima di grande interesse culturale e di fervore innovativo, di ricerca artistica e di sperimentazioni, a breve si collocherà pure la musica dodecafonica di Schönberg e Alban Berg, mentre già i cannoni tuonano presso tutti i confini della vecchia Europa.