Da oltre un anno i circa 3.500 lavoratori della scuola del 1952, fra docenti e personale Ata, sono rimasti imbrigliati nelle strettissime maglie della riforma Fornero a causa di un errore tecnico, costretti a una brusca deviazione rispetto ai loro progetti esistenziali. Ad essi, infatti, è stato negato il diritto, acquisito già dal settembre del 2011, di accedere alla pensione. Per questo motivo stanno lottando con tutti i mezzi (e su tutti i fronti) per far sì che il loro diritto a pensione venga riconosciuto.
L’attuale esecutivo, infatti, nello stilare l’ultima riforma delle pensioni, non ha tenuto conto della specificità del Comparto Scuola – specificità riconosciuta da leggi mai abolite oltre che da precedenti revisioni normative in materia previdenziale – e ha assimilato del tutto improvvidamente le leggi speciali che regolano questo settore alle leggi generali di tutti gli altri settori della Pubblica Amministrazione.
Il Comparto Scuola gode da sempre, per esigenze di continuità didattica, di una speciale decorrenza per il collocamento a riposo: il 1 settembre (e non il 31 dicembre) di ogni anno scolastico. Un fatto certo non irrilevante di cui ha tenuto conto il giudice del lavoro di Siena, nel suo provvedimento dello scorso luglio, quando ha ribadito a chiare lettere questa peculiarità statuita da leggi dello stato tuttora in vigore. Più precisamente, a detta dello stesso, l’art. 24 del decreto salva Italia non avrebbe distinto, rispetto alla data del 31.12.2011, con particolare riguardo al settore scolastico, il «dies ad quem della maturazione dei requisiti pensionistici secondo la normativa previgente».
Anche il giudice Ferdinando Imposimato, Presidente onorario della Corte di Cassazione, ha recentemente preso posizione in tal senso, sia su Tecnica della Scuola che su affaritaliani.it, a favore di questa categoria ingiustamente discriminata con le sue dotte argomentazioni tecnico-giuridiche. Il valente magistrato ha fatto tabula rasa, nei suoi precisi interventi, di ogni fallace pretesto del governo che ha sempre addotto, per eludere ogni volta la questione, problemi di mera copertura finanziaria.
A nulla sono valsi, in passato, i fermi richiami da parte di Mariangela Bastico e di Manuela Ghizzoni, deputate democratiche da sempre attente paladine di questa causa.
Un segnale d’intesa in tale direzione è venuto dal Pd in questi ultimi giorni di concitata campagna elettorale. La responsabile Scuola di questo partito, Francesca Puglisi, oggi candidata al Senato, dopo aver incontrato una delegazione del Comitato Civico «Quota 96», ha difatti promesso formalmente di impegnarsi in prima persona per sanare la ben nota vicenda qualora il suo partito dovesse vincere le elezioni.
L’impegno assunto è considerevole, fanno sapere dal Comitato Civico «Quota 96», e metterebbe la parola «fine» a una storia estenuante fatta di continui e sordi dinieghi governativi rispetto a ciò che non può né deve essere considerato un privilegio. La rappresentante democratica, inoltre, per avvalorare formalmente quanto promesso, ha inserito nel programma elettorale del Pd il riferimento testuale ai lavoratori interessati, quelli che hanno maturato, nell’anno scolastico 2011-2012, la cosiddetta «Quota 96» utile ad uscire dal lavoro secondo le norme antecedenti alla riforma Fornero.
La responsabilità del contenzioso, ora, passa nelle mani della politica che fra l’altro non può dimenticare che mandando in pensione questi 3.500 lavoratori della Istruzione consentirebbe ad altrettanti precari di prendere il loro posto e di stabilizzarsi.
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