Attraverso un viaggio di 5.000 chilometri sulle strade di tutta Italia, Marina Puricelli, docente di Fondamenti di Organizzazione alla Bocconi e alla Sda Bocconi, ha scritto un libro dirompente: “Il futuro delle mani” dedicato alle storie di 30 artigiani under 35 alla guida di imprese e degli ingredienti alla base del loro successo, inspiegabile secondo le teorie più in voga.
I ragazzi descritti, fabbricanti di gioielli, di scarpe, di bomboniere, perfino fabbri, sono persone normali. «Non ho incontrato dei fenomeni, nessuno era un bambino prodigio o un genio alla Steve Jobs», dice la docente. Non tutti sono laureati, anzi, molti non finiscono neanche gli istituti tecnici o professionali. Ben pochi, tra i laureati, hanno frequentato la scuola “giusta” e l’università di grido. Hanno però saputo trarre il meglio dalle loro esperienze, anche solo sapendo individuare un maestro nel mare di docenti e usando la burocrazia degli atenei come una palestra per quello che li avrebbe attesi.
L’intento dell’autrice, scrive Linkiesta.it, sembra quello di demitizzare l’idea che un percorso di studi assicuri di per sé il successo nell’attività imprenditoriale.
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“Ci raccontano che bisogna esporsi a più esperienze possibili, ma l’esposizione superficiale e mordi e fuggi a mille stimoli rischia di disorientare i giovani”, spiega l’autrice, e i giovani artigiani incontrati dai due docenti a 30 anni si ritrovano con 10 o 15 anni di esperienza alle spalle. Sono persone compiute, sono anche persone che a un certo punto hanno preso una decisione.
Dove ci sono giovani artigiani che hanno fatto la propria scelta, ci sono genitori che gliel’hanno lasciata fare. «Il passaggio da fare, per un genitore, è non guardare a cosa faccia un figlio ma quali risultati un lavoro produce su di loro».
All’indirizzo di chi è convinto che passare lunghi periodi all’estero valga di per sé a diventare persone brillanti, la docente bocconiana sfodera un proverbio: «Viaggiare apre la mente ma chi parte stupido stupido torna»
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