Esprimo il mio garbato dissenso rispetto quanto scritto ieri da Palermo sul tema della liceità della registrazione delle videolezioni.
Lo faccio da docente esperto di normativa scolastica oltre di Scienze giuridiche ed economiche.
Un principio fondamentale quando si applicano le norme è quello di capire la fattispecie di riferimento.
Per esser chiaro con un esempio comprensibile a tutti: se nel Regolamento di istituto l’orario delle lezioni è fissato alle 8,00, il dato riguarda gli studenti (tutti) ma per i docenti vale solo per quelli che hanno lezione alla prima ora che, peraltro, devono pure essere già presenti in aula.
Quindi non posso scrivere che la presenza puntuale alle 8,00 a scuola è un obbligo generalizzato.
Se il principio di contestualizzazione vale per le norme, varrà ancor di più per cose (uso volutamente un termine non scientifico perché la materia è complessa e questo intervento non è scritto per un sito specializzato esclusivamente in normativa scolastica) che non hanno carattere normativo.
Come chiarirò infra, è facile verificare anche per il presente che il peso delle posizioni del Garante è diverso se reso noto con i vademecum ed è,invece, ritualmente espresso.
Se così non fosse, non si capirebbe perché Soro ha scritto due diverse comunicazioni, una informale e l’altra formalizzata, al MI sulla DAD.
Citare una posizione (peraltro, faccio osservare, che non è un parere ritualmente espresso) presente in un vademecum del Garante della Privacy elaborata in riferimento alla didattica in presenza non può, a mio giudizio, portare alla traslazione sic et simpliciter del ragionamento nella didattica a distanza.
Non solo, ma anche riportare la posizione del Garante nella parte relativa al supposto “diritto alla registrazione” dello studente e completare correttamente, come ha fatto Palermo, con la previsione di un possibile divieto dello stesso con norma regolamentare è la migliore dimostrazione che,escludendo dal ragionamento gli studenti con disabilità che hanno tutele normate per legge, non siamo in presenza di un diritto assoluto.
Chiariamo, infatti, che nella registrazione della lezione o della videolezione c’è un problema non solo di controllo della diffusione (ambito tutelato dalla privacy) ma latamente ci può essere anche altro.
Per fare un esempio noto: all’Università spesso è invalsa l’abitudine di registrare le lezioni, “sbobinarle” come si diceva un tempo per ottenerne materiali che, a volte ed in maniera del tutto illegittima, diventano poi materiali circolanti spesso anche a fine di lucro.
Ma questo può essere un aspetto marginale del problema.
Dedichiamoci, invece, al ragionamento principale e chiediamoci perché registrare una videolezione è cosa profondamente diversa dal farlo in presenza.
Per una banale questione di assenza di controllo visivo.
In classe, a meno di immaginare una registrazione “clandestina” e cioè effettuata senza dichiararla, il docente ha non solo il controllo visivo di quello che accade ma può chiarire (a me capita frequentemente di farlo a studenti nativi digitali ma totalmente nesci o ignari sui temi del possibile ai fini della privacy) l’uso lecito esclusivamente a fini personali e con divieto assoluto di diffusione.
Qui non è in ballo il fare “terrorismo”, in questo discorso c’è l’essenza del ruolo educativo del docente che vale a maggior ragione se il docente è un docente di Diritto.
Su questo punto vorrei potermi dilungare proprio in funzione del dibattito (ne ha scritto Zagrebelsky due giorni fa) attualissimo su questioni normate e questioni etiche ai tempi del coronavirus ma non è il focus di questo intervento.
Cosa accade con la DAD?
Accadono cose che i docenti meno avvezzi all’uso esperto (e i ragazzi,invece, lo sono) delle nuove tecnologie possono non conoscere.
Faccio esempi concreti: per parlare solo di un mezzo diffuso come Skype (quindi lasciando stare piattaforme più dedicate alle videoconferenze aziendali (l’ambito è importante) ed ora forzatamente adattate a quelle scolastiche), esso ora segnala comportamenti come lo scatto di istantanee o la registrazione da parte degli studenti ma sono features relativamente recenti.
Esistono da anni, però, software installati su postazioni remote (i pc dei singoli studenti) che hanno le stesse funzioni di registrazioni non rese note all’esterno.
Quindi chi registra , lo può fare all’insaputa del registrato che non ha nemmeno controllo visivo dello schermo non condiviso.
Con quale importante differenza?
Che il docente educatore che volesse avviare il discorso relativo alla eventuale liceità della registrazione a fini esclusivamente personali ma del divieto assoluto di diffusione, non saprebbe nemmeno di doverlo avviare quel discorso.
E questo prescindendo dall’altrettanto ovvio discorso che non tutti i docenti insegnano Diritto e sono in grado, perciò, di avere le competenze per farne oggetto di una valida riflessione sul piano didattico-educativo.
La situazione , oggi, è già sufficientemente complicata e suggerirei, perciò, di non complicarla ulteriormente su una questione, la privacy, che è, al contempo, essenziale ma anche piuttosto complessa.
Del resto, proprio la scuola sulla privacy ha per decenni dato pessima prova se è vero che ho passato tutto questo tempo a convincere i miei numerosi presidi che non pubblicare i voti degli studenti bocciati non solo non era conforme alle norme sulla privacy (come chiarito sin dai tempi del primo Garante, il compianto Stefano Rodotà), ma che violava, viceversa, le disposizioni vigenti in materia.
Raro ma non isolato caso di eterogenesi dei fini.
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