Il GDPR (Regolamento europeo per la protezione dei dati personali) ha definito l’area giuridica del consenso riguardante i soggetti, le possibilità, le limitazioni e le sanzioni. La conferma di una maturità digitale del minore.
Il GDPR è un documento molto articolato. Quindi non di semplice lettura. Comunque da leggere e approfondire. Da questa doppia operazione non sono esonerati i genitori e gli insegnanti.
Quindi per trattare del consenso partiamo da questo documento.
“Qualora si applichi l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. ”
Tale direttiva è stata confermata dalle prime indicazioni del garante della Privacy (Febbraio 2018): “Il consenso dei minori è valido a partire dai 16 anni (il limite di età può essere abbassato fino a 13 anni dalla normativa nazionale); prima di tale età occorre raccogliere il consenso dei genitori o di chi ne fa le veci.”
Diverse sono le implicazioni di questo pronunciamento. Innanzitutto è riconosciuta la maggiore età digitale (16 anni) con la possibilità per la legislazione nazionale di abbassarla a 13 anni. Quindi la vita digitale è affidata interamente al sedicenne o tredicenne. In altri termini, “il minore” (lo è ancora giuridicamente) può autodeterminarsi senza l’intermediazione dell’adulto che ricopre “la responsabilità genitoriale”. Una decisione coraggiosa, aggiornata rispetto al mutamento della relazione tra la tecnologia e il ragazzo.
La nostra giurisprudenza si è già espressa in tal senso, riconoscendo “ampi margini di autodeterminazione” del minore. Mi riferisco alla sentenza del tribunale di Roma (23 dicembre 2017) che ha riconosciuto al minore, ma con maturità digitale, di richiedere la rimozione di foto e video dal profilo social del genitore. Sicuramente è un pronunciamento rivoluzionario che riconosce il diritto alla riservatezza, all’immagine, alla sensibilità . E’ la conferma che il ragazzo non è un oggetto in mano al genitore che può a suo piacere “modellare esistenzialmente”.
Tutto bene allora? Probabilmente il caso rappresenta un’eccezione! La maggior parte dei nostri ragazzi, definiti “nativi digitali” (M. Prensky, 2009) naviga con password a bassa complessità, gli smartphone sono spesso sprovvisti di antivirus, i profili social risultano pubblici, la condivisione di foto, video e testi è pratica diffusa. A questo si aggiunge la loro fascinazione verso l’anonimato, sinonimo di invisibilità (grande balla!). E per concludere il graduale coinvolgimento verso la procedura “end to end” che favorisce la cancellazione in default di post ( modello Snapchat)
Il quadro rimanda ad un’immaturità digitale! In altri termini è assente una consapevolezza, sinonimo di “saggezza digitale”, che diventa “Digital wisdom” ( M. Prensky,2009), intesa come “uso avveduto della tecnologia per migliorare le nostre capacità”.
Da qui la necessità di un maggior coinvolgimento dei genitori e del sistema formativo scolastico. Essi sono chiamati ad accompagnare gradualmente (ognuno per la loro parte) l’entrata nel digitale dei ragazzi. In altri termini sono chiamati a fornire loro le informazioni sulle potenzialità della Rete. Renderli consapevoli che “l’uso delle tecnologie consente di accedere a un livello superiore di conoscenza al potere della conoscenza in una misura superiore a quanto consentito dalle nostre potenzialità. Nel futuro, grazie alla tecnologia, i cercatori di saggezza beneficeranno di un accesso istantaneo e prima inimmaginabile a discussioni planetarie, a tutta la storia, a tutto quanto è stato scritto, a enormi archivi di casi e di dati, a simulazioni di esperienze molto realistiche equivalenti ad anni o anche secoli di esperienza reale.” (M. Prensky)
A questo occorre aggiungere un piano di conoscenza e consapevolezza dei rischi insiti nella navigazione nella Rete. Compito affidato alle scuole e che ovviamente non può essere ridotto ad un incontro occasionale con esperti. Questo opera su un piano informativo e quindi diverso da quello della competenza che necessita di un approccio più profondo e sistematico. Direi, anche quotidiano attraverso la presenza attiva del referente per il contrasto al cyberbullismo (Legge 71/17 art. 3) e di tutta la comunità educante.
di Gianfranco Scialpi
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