Si chiama Vladimir Voevodsky, il genio russo della matematica, morto a cinquantun anni a Princeton, l’uomo che cercava gli “errori nascosti” attraverso il suo “Assioma di univalenza”: un modello della teoria costruttiva dei tipi nella categoria degli insiemi.
Secondo alcuni matematici è stato “uno dei giganti del nostro tempo”, che trasformava ogni campo del quale si interessava, “persino il significato del segno ‘uguale’ in matematica”.
Voevodsky, in sintesi, pensava che il cervello umano non è in grado di stare dietro alla crescente complessità delle matematiche.
L’unica soluzione sono i computer. Così si impegnò in un ambizioso progetto per creare software così potenti e convenienti che i matematici possano usare nel proprio lavoro.
Voevodsky integrò il computer nel processo di ricerca, descrivendolo – si ricorda sul ‘New York Times’ – un po’ come un videogame: “Tu dici al computer ‘Prova questo’, e lui lo prova, e ti restituisce il risultato delle sue azioni”, spiegò in una intervista del 2013.
“Certe volte quel che viene fuori da questo è inaspettato. E’ divertente”.
Sarebbe un’autentica rivoluzione se si riuscisse a trovare un sistema sufficientemente semplice da essere impiegato dai matematici. Oltre a evitare il problema degli errori nascosti, libererebbe dalla fatica del controllo e della revisione.
Nato il 4 giugno 1966 a Mosca, Voevodsky era figlio di Alexander, direttore di un laboratorio di fisica sperimentale all’Accademia delle Scienze russa, e di Tatyana Voevodskaya, docente di Chimica all’Università di Mosca.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, fece il dottorato a Harvard e ottenne un posto permanente all’Institute for Advanced Study a Princeton.
Nel 2002 ottenne la medaglia Fields, uno dei più prestigiosi premi nelle matematiche, con la motivazione che il suo lavoro ”è caratterizzato da un’abilità formidabile nel gestire idee altamente astratte e di utilizzare con facilità e flessibilità queste idee per risolvere problemi matematici alquanto concreti.”
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