Dal prof Salvatore Distefano, dell’ Associazione etnea studi storico filosofici, una profonda riflessione sul razzismo e sulla Shoah.
Dalle leggi razziali fino alla deportazione verso i campi di sterminio, il nostro Paese non fu secondo a nessuno per la meticolosità e la severità delle misure imposte agli ebrei.
Se a settantacinque anni da Auschwitz si continua a scrivere per dire e commentare la tragedia è proprio perché la nostra civiltà non ne ha accettato appieno la proprietà , la responsabilità. E’ ancora necessario “contestare le contestazioni”; c’è sempre qualcuno da convincere e a cui dimostrare che Auschwitz è veramente accaduta e non è la costruzione mentale di un fantomatico complotto. Ci si trova ancora a battersi contro i tentativi di banalizzazione della Shoah, a dover affermare che i crimini e i genocidi del presente non sminuiscono la barbarie programmata di Auschwitz. L’aria che respiriamo è spesso appestata dall’insulto del “riduzionismo” e del “negazionismo”, affermato e promosso da una discutibile intellighentia, secondo modalità disparate, che il grande storico dell’antichità Pierre Vidal-Naquet definiva gli “assassini della memoria”.
Le sfide maggiori con cui si misura oggi la memoria della Shoah nel nostro Paese è il costante tentativo, oggi ormai più che smentito dall’indagine storica ma sempre presente come una sorta di senso comune autoassolutorio, di descrivere il ruolo giocato dall’Italia fascista nella “soluzione finale” come del tutto marginale rispetto alla politica di sterminio del Terzo Reich. In realtà, come descritto minuziosamente dallo storico Enzo Collotti nel suo libro “Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia”, non solo è stato un antisemitismo tutto italiano, certo alleato e complice di quello nazista, a condurre tanti italiani verso Auschwitz, ma le sue radici affondano nella nostra storia molto più in profondità di quanto si è soliti credere e ammettere. Afferma Collotti: <<Il razzismo italiano non si qualificò in prima battuta attraverso l’antisemitismo e ciò per il fatto, storicamente fondato, che il pregiudizio contro gli ebrei nella tradizione politico-culturale italiana era di matrice essenzialmente cattolica. Esso si rifaceva cioè all’antisemitismo di lunga data che alla secolare condanna del popolo deicida aveva associato, in epoca più recente, l’accusa agli ebrei di praticare gli omicidi rituali, ancorché fosse sempre più difficile dimostrarne l’esistenza […], che […] indussero autorevoli voci della stampa cattolica ad associare in blocco il giudaismo alle eresie dei tempi moderni, […]>>. E scriveva Arnaldo Momigliano, grande storico antichista,:<<Ma qualunque cosa si scriva su quel periodo che finisce con fascisti e nazisti collaboranti nell’inviare milioni di ebrei nei campi di eliminazione (e ci sono tra le vittime mio padre e mia madre), una affermazione va ripetuta. Questa strage immane non sarebbe mai avvenuta se in Italia, Francia e Germania (per non andare oltre) non ci fosse stata indifferenza, maturata nei secoli, per connazionali ebrei. L’indifferenza era l’ultimo prodotto delle ostilità delle chiese per cui la “conversione” è l’unica soluzione del problema ebraico>>.
La storiografia attuale tende a vedere nell’antisemitismo esclusivamente una conseguenza e una conferma dell’influenza della Germania nazista sullo sviluppo del razzismo in Italia. In realtà, la cosiddetta “arianità” era ben presente nella cultura italiana e costituiva un <<idioma culturale>> ben affermato. Infatti, persecuzione antiebraica e politica razzista coloniale venivano unificate sotto l’insegna di un’ideologia che identificava la razza italiana come appartenente al gruppo ariano, proponendo allo stesso tempo gli strumenti per la sua difesa contro le minacce esterne. L’arianesimo era sentito come il necessario fondamento ideologico capace di costituire il collante fra i due ambiti. Nel 1940 il giovane antropologo Guido Landra, su precise indicazioni di Mussolini, sottolineava la necessità e la centralità del concetto di “ariano” per l’azione razzista italiana: <<Concetto fondamentale sul quale si è sviluppata la politica razziale italiana è che esiste una distinzione nettissima tra il gruppo delle razze dette ariane o indoeuropee e quello delle razze camita e semita […] L’indirizzo seguito dal razzismo italiano nell’azione di difesa e di potenziamento della razza italiana è l’indirizzo ariano e questo indirizzo è necessario perché la nostra azione si deve svolgere nei riguardi delle popolazioni semitiche, il che non potrebbe avvenire se il razzismo italiano fosse stato impostato semplicemente sopra il termine molto comprensivo e vago di razza bianca>>.
In occasione del “Giorno della Memoria” (27 gennaio 1945 liberazione del campo di Auschwitz) non si può non ribadire come la strada verso quella fabbrica della morte iniziò molto tempo prima della Seconda guerra mondiale, nel cuore stesso della società europea, Italia compresa, e come il fascismo italiano di quelle radici di odio si fece interprete e protagonista, elevandole a sistema ideologico.
Oggi che l’antisemitismo torna a mostrarsi con tutta la sua barbarie nelle nostre società, questa memoria non è solo importante, è davvero necessaria.
Salvatore Distefano
Associazione etnea studi storico filosofici
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