Il 10 dicembre la scuola ha dato un segnale importante al Paese: ha aderito ad uno sciopero che ha il merito di aver unito sigle sindacali eterogenee in una stessa protesta, ha rotto l’insopportabile unanimismo di consensi verso il governo Draghi che, a vedere la Legge di Bilancio per il 2022, altro non fa che seguire le mediocri orme dei governi che lo hanno preceduto, ha acceso i riflettori, ancora una volta, sulla pessima gestione dell’emergenza pandemica. In poche parole, la scuola ha detto “no” all’asfissiante conformismo con cui si parla di scuola ed ha chiesto interventi concreti ed urgenti.
Tre sono i temi più scottanti in campo: la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni, la precarizzazione del lavoro – che si muove a diversi livelli – la mancanza di sicurezza sanitaria. Ognuno di questi aspetti andrebbe ulteriormente analizzato: e il sindacalismo di base non ha mancato, nel tempo, di far sentire le proprie critiche puntuali. In questa sede ci limitiamo a dire che gli anni di blocco salariale (2009-2018) non sono stati risolti dal magro aumento medio del 3,48% dell’ultimo contratto; che tre anni di ulteriore blocco (2018-2021) non si risolvono con la miseria messa a disposizione dal governo “dei migliori”; non vogliamo che il nostro lavoro sia precario, dall’inizio alla fine della carriera. Per questo diciamo di no allo sfruttamento del lavoro dei precari, che costituiscono un esercito di 200 mila supplenti; rifiutiamo il blocco triennale sulla sede di nomina, che rende molto difficile la vita di tanti docenti di ruolo; guardiamo con preoccupazione al peggioramento delle condizioni pensionistiche, legato ad un’età pensionabile sempre più alta e a pensioni sempre più modeste. Quanto alla gestione della pandemia nelle scuole, non possiamo che deprecare e denunciare il fatto che, al terzo anno di pandemia, ancora nulla si sia fatto: niente riduzione degli studenti per classe, niente distanziamento, niente areazione delle aule, niente tracciamento efficiente ma soltanto parole vuote e retoriche sull’importanza vitale della scuola, tirate moralistiche contro la Dad, considerata una mostruosità gratuita e non una necessità in tempo di pandemia.
Facciamo in modo che, dall’11 dicembre, questi temi ed altri egualmente importanti per la scuola pubblica italiana continuino ad essere all’ordine del giorno. Dall’interno della scuola, dall’intelligenza dei lavoratori, dal colloquio tra adulti e studenti deve partire la denuncia di tutto ciò che non funziona e la spinta per un cambiamento radicale; se questo non accadrà dovremo adattarci ad una scuola svilita, che non è in grado di trasmettere sapere e che si rassegna ad essere, per i più, la squallida anticamera di una vita da precari.
Giovanna Lo Presti (Cub Sur)
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