Il giorno libero sopravvive sull’autonomia. Il contesto normativo su cui poggia tale prassi, infatti, è molto solido e prevale anche su eventuali deroghe in pejus introdotte dalla normazione secondaria. Vediamo quali. Si tratta, in particolare, di fonti scritte e non scritte, peraltro confortate dall’insegnamento della Corte di cassazione, che si è più volte espressa affermando la prevalenza delle clausole d’uso (in questo caso l’usanza del giorno libero) rispetto alle previsioni dei contratti collettivi. Analizziamo le disposizioni punto per punto.
Il giorno libero nel contratto
L’articolazione dell’orario di lezione in 5 giorni alla settimana deriva, in primo luogo, da una previsione contenuta nell’articolo 41 del contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) del 1995.
La clausola contrattuale recepisce, senza alterazioni, le omologhe disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 297/94, laddove dispone che l’orario di insegnamento dei docenti debba essere distribuito in "non meno" di 5 giorni settimanali. Il tenore del dispositivo evidenzia la preoccupazione delle parti di limitare ad un solo giorno alla settimana le pause nell’erogazione della prestazione di insegnamento. Ciò in analogia con quanto avviene nel settore privato e in altri comparti della Pubblica Amministrazione (art. 22 della legge 23 dicembre 1994).
Già dalla lettura combinata delle norme appena citate si evince, con chiarezza, che l’eventuale distribuzione dell’orario su sei giorni costituirebbe una deroga alla disciplina generale e pattizia. Deroga che, però, finirebbe per tradursi in una vera e propria discriminazione a danno del lavoratore colpito dal trattamento peggiorativo.
La consuetudine
Fin qui le fonti scritte. Va detto subito, però, che tra le fonti del diritto è annoverata a pieno titolo anche la consuetudine. Vale a dire: il comportamento ripetuto nel tempo nella convinzione di adempiere ad un obbligo giuridico.
Peraltro, nel caso del giorno libero sembrano essere presenti entrambe le condizioni: la ripetizione nel tempo è un dato di fatto, così come pure la convinzione dell’obbligatorietà.
Fermo restando che la prassi, ovvero il solo comportamento ripetuto nel tempo, è già di per sé vincolante o, per lo meno, referente nell’interpretazione della norma. Di qui l’innescarsi di un circolo virtuoso che porterebbe, comunque, alla conferma dell’obbligatorietà dell’articolazione in 5 giorni delle prestazioni di insegnamento.
L’orientamento della Cassazione
E’ bene precisare che la situazione a cui si sta facendo riferimento riguarda le condizioni dettate dal cosiddetto contratto individuale di lavoro: l’atto negoziale con il quale viene attivato il rapporto di lavoro del singolo docente e che continua a dispiegare effetti fino alla cessazione del rapporto stesso. E dunque può essere d’aiuto citare anche l’orientamento costante della giurisprudenza della Cassazione, che è concorde nel ritenere la prevalenza delle clausole d’uso rispetto alle disposizioni dei contratti collettivi (n. 1279/19983; n. 9764/2000; n. 10642/2000, ecc.)
Tanto premesso, essendo la prassi del giorno libero una cosiddetta clausola d’uso, essa va ad integrare, automaticamente, il contenuto dei contratti individuali di lavoro (art. 1340 del codice civile). Di conseguenza, tale prassi assume carattere vincolante anche quando deroga al contratto collettivo in senso più favorevole al lavoratore. Resta fermo, però, l’obbligo, per l’istituzione scolastica, di assicurare il servizio all’utenza per 6 giorni alla settimana. E dunque non è possibile assegnare a tutti i docenti lo stesso giorno libero. Per esempio: il sabato. Sempre che non vengano attuati gli istituti di flessibilità previsti dalla legge (art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275/99) che, però, non fanno decadere il diritto al giorno libero ed implicano, comunque, l’obbligo di rispettare il numero di giorni di lezione fissato annualmente dall’ autorità regionale (art. 138, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 112/98).
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