I lettori ci scrivono

Il giusto riconoscimento dell’attività docente: non è un lavoro per tutti!

Caro Ministro,

come insegnante e come persona mi incoraggia leggere le sue tante idee e proposte su un possibile rinnovamento della scuola italiana.

Voglio condividere alcune mie personali riflessioni (sentimenti) su alcuni dei temi da lei toccati fin qui.

  1. Retribuzione insegnanti. Credo che un insegnante debba essere retribuito in modo dignitoso. Ciò per svariati motivi: a) riconoscimento della responsabilità connessa alla scelta di fare l’insegnante, verso il futuro (la crescita culturale e umana delle nuove generazioni), verso il passato (accoglimento, conservazione, trasformazione di quanto sedimentato nella tradizione) verso il presente (la società attuale nel suo complesso); b) recupero di una percezione sociale dell’insegnante in cui devono tornare parole quali rispetto, ammirazione, pensieri come “questo lavoro non è da tutti”, perché credo che questo lavoro non è da tutti, con conseguente ricaduta positiva anche sulla percezione che gli allievi hanno dei propri maestri; c) prima risposta a come affrontare il moltiplicarsi di episodi di aggressione fisica e verbale verso il corpo docente: se io (Stato) dò valore a questo lavoro ANCHE attraverso un GIUSTO riconoscimento economico, questa attribuzione non può non avere effetti pragmatici sulla categorizzazione linguistica dei comportamenti possibili, e non possibili perché auto-attacchi alla consonanza cognitiva di ciascuno. Di converso, non può non avere effetti pragmatici anche sull’operatività degli insegnanti, i quali, è vero, sanno che ciò che conta è sempre la motivazione intrinseca ma, come tutti, non sono estranei ai meccanismi del condizionamento operante (rinforzo!).
  2. Reclutamento insegnanti. Questo lavoro non è da tutti, per tutti. Anche il reclutamento e la carriera dovrebbero avere caratteristiche specifiche. Credo che TUTTI gli insegnanti, prima di fare l’insegnante, debbano fare altro, per un periodo minimo, non breve, di anni. L’insegnamento, per come lo vivo io, non è solo trasmissione di contenuti (anche se questi li reputo fondamentali), ma soprattutto trasmissione di esperienza di vita, all’interno della quale i contenuti si illuminano di senso, proprio di ciascuno con ciascuno, nella relazione didattica. In un percorso ideale (utopistico?) senza passato (graduatorie, concorsi, GAE, CFU, etc.), dopo la laurea/specializzazione chi volesse fare l’insegnante dovrebbe PRIMA fare esperienze lavorative variegate, attinenti e non la disciplina specifica di insegnamento, nel pubblico e soprattutto nel privato, in cui sperimentarsi con sé stessi, con i propri desideri e le proprie certezze, i propri fallimenti, e solo DOPO decidere eventualmente di fare l’insegnante. Ciò per vari motivi: a) sedimentazione di un bagaglio esperienziale da trasferire e arricchire nell’esperienza didattica; b) presenza di insegnanti auto-motivati a fare il “mestiere”; c) ricadute positive sull’aspettativa socioculturale: “questa persona sa della vita!”.
  3. Carriera. Anche la carriera, per questo lavoro unico, dovrebbe avere caratteristiche uniche. Credo che la progressione dovrebbe seguire un percorso inverso rispetto all’usuale: il massimo della retribuzione all’inizio del “ruolo”, dopo il descritto non breve periodo post-lauream nella realtà extrascolastica, il minimo della retribuzione (sempre ben oltre lo stipendio d’ingresso attuale, per i motivi di cui sopra) alla fine della “carriera”. Pensione calcolata sul massimo d’ingresso (ovviamente!). Ciò per svariati motivi: a) riconoscimento del valore di una scelta, dopo altre esperienze lavorative magari più remunerative, orientata all’istruzione e alla formazione, e all’assunzione consapevole delle responsabilità connesse; b) incentivazione alla sperimentazione, al coraggio di osare, apprezzamento dell’impegno-responsabilità assunti; c) riconoscimento del valore (tensivo e trasformativo) di ciò che Piaget chiamava accomodamento rispetto all’assimilazione, laddove il primo ha per forza di cose, non ultima la fase del ciclo di vita personale, maggiore rilevanza nella fase iniziale di qualsiasi esperienza di vita.
  4. PCTO. L’alternanza scuola-lavoro la vedo fondamentale, come sopra detto, per gli insegnanti. Per gli alunni, riporto una frase della filosofa Agnes Heller:  “Se qualcuno dovesse chiedermi, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: “prima di tutto, solo cose “inutili”, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita”. Il bello è che così, all’età di 18 anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.”

Molte delle mie considerazioni, se non tutte, si fondano ovviamente sulla mia esperienza personale. Credo tuttavia al riguardo di poter affermare che dietro le mie parole non c’è alcun (cosciente) interesse particolare oltre quello generale del desiderio di un cambiamento, che per me non può non scaturire dal cambiamento delle singole persone.

Nel rinnovarle il mio grazie, le porgo i miei migliori saluti.

Pietro Viola

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