L’apporto di Silvio Berlusconi alla scuola? Disastroso. Di fronte alla morte è vero che bisogna scordare il peggio, ma nel nostro caso è giusto rammentare il danno, a nostro avviso, che ha inferto la sua politica al nostro sistema di istruzione.
Intanto non nascose mai la sua preferenza alle scuole private, nella dichiarata convinzione di diffondere in tutto il paese il cosiddetto modello Milano. Libertà di educazione fu lo slogan con cui accompagnò la sua campagna elettorale del 2001, mischiando anche un concetto abbastanza subdolo e bizzarro, secondo il suo stile, e cioè che la scuola italiana fosse un “potere forte” in mano alla sinistra, tranne a scoprire dopo che un buon 35% dei docenti votò il suo partito, quello di Forza Italia.
Ma si inventò pure, tirandolo dalla manica, un nuovo obiettivo didattico per cui il suo cavallo dell’istruzione avrebbe puntato sulle famose tre I: Inglese, Internet, Impresa che a conti fatti si rivelarono un emerito flop: “in pratica nessuna delle due ministre di lungo corso nominate da Berlusconi (cinque anni la Moratti, tre e mezzo la Gelmini) ha saputo tradurre quello slogan, che pure conteneva una intuizione non banale, in una strategia di cambiamento”.
Ma non finisce qui.
Nominata Letizia Moratti ministra dell’Istruzione, la sua prima mossa fu falcidiare la “riforma dei cicli di Luigi Berlinguer” e non già perché se ne documentasse l’inefficacia, ma per favorire comunque le private e implementare una idea tutta liberista (ma che significa?) di scuola.
Scrissero i sindacati: “Per prima cosa va detto che la legge Moratti non è accettabile né congruente da qualunque parte la si osservi. Più che una riforma, si tratta infatti di un complessivo ritorno indietro e/o di un peggioramento generalizzato delle condizioni della scuola italiana”.
Ma non abbiamo finito.
Con Morati la scuola pubblica raggiuse il punto più basso della sua intera storia. Furono modificati anche gli esami di stato di Berlinguer con commissioni tutte interne e un solo presidente esterno per l’intero istituto, sempre per la gioia dei privati che si toglievano di mezzo prof esterni. E ai privati concesse pure le lauree online mettendo al mondo gli “atenei telematici” nel 2003.
Ma l’imprevedibile, dopo una fase toccata a Beppe Fioroni (quello della pinza e del cacciavite) che cercò di riportare qualche tassello al suo posto, come gli esami di riparazione a settembre e le vecchia composizione della commissione, arrivò con la ministra Mariastella Gelmini, la quale subito subito, fresca di nomina, su imperio del ministro dell’economia tagliò 8 miliardi di euro alla scuola, mise in atto un “Riordino” (la chiamarono “riforma epocale”) col quale si tagliavano cattedre e ore di insegnamento dovunque, creando a frotte di precari il vuoto, tant’è che in Sicilia, dove i precari sono stati sempre numerosi, si inventarono marchingegni fantasiosi per formare cattedre.
Ma poi ci fu tutto un dibattito sul merito per non concedere aumenti stipendiali a pioggia, mentre tornava la maestra unica alle elementari, sciogliendo il “Modulo” di tre maestre, che aveva dato nuove prospettive didattiche. E questo mentre le mamme versavano quote per comprare la carta igienica nelle scuole, dove mancava perfino dell’essenziale, e i prof portavano da casa le risme per le fotocopiatrici.
La chiara impressione era che a quel centro-destra guidato da Silvio Berlusconi della scuola pubblica interessasse molto poco, mentre si alzavano polveroni sui grembiuli e sul voto numerico e mentre Giulio Tremonti sosteneva, per sostenere le sue misure contro l’istruzione: “Con la cultura non si mangia”.
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