Si parte. Il governo Conte è nel pieno esercizio dei poteri. Venerdì nel tardo pomeriggio primo Consiglio dei Ministri con la nomina del sottosegretario alla presidenza, Giancarlo Giorgetti e l’assegnazione delle deleghe ai ministri senza portafoglio.
L’attenzione, però, è rivolta ai due capi dei due partiti di maggioranza: Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega). Il primo, a capo di un maxi dicastero, Lavoro e Sviluppo Economico, è subito ambizioso: “All’opera per superare la legge Fornero, sì a reddito cittadinanza e salario minimo”. Si tratta di provvedimenti contenuti nel contratto di governo siglato dieci giorni fa. Propositi ambiziosi e onerosi per le casse dello stato.
Lo stop alla legge Fornero richiede 5 miliardi iniziali se si limita a due misure – uscita a quota 100 (con 64 anni di età minima) e pensionamento d’anzianità dopo 41 anni -, ma cresce a 9 miliardi se si aggiungono la “pensione di cittadinanza” (integrazione a 780 euro mensili delle pensioni più basse) e la riproposizione di “opzione-donna” (uscita con 57-58 anni e 35 di contributi con ricalcolo contributivo del montante).
Difficile immaginare che il M5S possa subito mettere in sofferenza il bilancio dello Stato. Probabile, dunque, che se ne parli nella prossima legge di bilancio. Nella prima fase dunque solo misure preparatorie. Via libera subito a “opzione donna” (uscita a 57-58 anni con 35 anni di contributi) per rinviare alla legge di bilancio per il 2019 quota 100 e quota 41.
Se per la pensione di anzianità, si tratta di una riduzione di meno di tre anni rispetto ai parametri attuali, quello della quota 100 sembra un salto all’indietro davvero sostanzioso: sarebbero tantissimi, infatti, nella scuola a lasciare il lavoro con diversi anni di anticipo rispetto a quelli previsti dalla riforma Fornero e aggravati dalle aspettative di vita crescenti.
Se dovesse essere questa la strada per superare le rigidità della legge Fornero, nella scuola gli insegnanti che potrebbero arrivare alla pensione nel 2019 sarebbero 100 mila, il 400% in più rispetto alla legge promulgata dal governo Monti nel 2011.
Secondo una stima fatta da Italia Oggi, dal 1° settembre 2019, a normativa previdenziale vigente, i docenti e il personale Ata che al 31 dicembre 2019 potranno fare valere i requisiti anagrafici e/o contributivi richiesti per accedere sia alla pensione di vecchiaia che a quella anticipata potrebbero essere rispettivamente tra 20 e 25mila e tra 7 e 8mila.
Uscite importanti, con le quali si potrebbe creare lo spazio per sostanziose immissioni in ruolo nell’immediato futuro.
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