I quattro emendamenti del Governo approvati oggi dalla commissione Affari costituzionali per sopprimere l’articolo aggiuntivo che sbloccava 4mila pensionamenti nella scuola, i “Quota 96” bloccati da una dimenticanza delle riforma Fornero, l’anticipo della pensione da 70 a 68 anni per professori universitari e primari, oltre che il ripristino delle penalizzazioni per i dipendenti pubblici che lasciano prima dei 62 anni, rappresentano un duro colpo ai diritti di migliaia di lavoratori e al ringiovanimento della pubblica amministrazione.
Così Anief-Confedir commenta l’inattesa retromarcia del Governo sulle quattro modifiche presentate dal Governo al decreto sulla pubblica amministrazione, per mancanza di adeguata copertura finanziaria, che hanno avuto l’immediato via libera a Palazzo Madama: una decisione che obbliga tanti dipendenti statali del Miur e del Ministero della Salute a rimettersi in gioco ad almeno 61 anni, dopo essere stati illusi per l’ennesima volta di poter fruire del loro diritto alla pensione. E ad essere beffata, con i lavoratori, è anche Anief-Confedir che nelle scorse settimane aveva presentato degli emendamenti al decreto di riforma della P.A., poi confluiti con quelli approvati alla Camera dalla maggioranza.
“La decisione presa oggi al Senato – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – rappresenta un atto pilatesco che avrà gravi ripercussioni su migliaia di professionisti, giovani e anziani, medici, della scuola e dell’università. Non dimentichiamoci che in questo modo il Governo, oltre a colpire i diritti dei dipendenti, sta remando anche contro il ringiovanimento della pubblica amministrazione: i tanti precari che sarebbero subentrati rimangono infatti al palo per altri anni dopo aver assaporato il reclutamento”.
“Quel che fa particolarmente rabbia, è che si continua a parlare di mancanza di finanziamenti, quando sarebbe bastato prendere un po’ di proventi, alcune decine di milioni di euro, dal gioco d’azzardo: Noi come sindacato però non ci arrendiamo e d’ora in poi sposteremo la questione su binari puramente giuridici: a questo punto – conclude Pacifico – siamo pronti alla battaglia spietata nei tribunali”.