Anche alla Camera e al Senato c’è chi contesta l’obbligo di esibizione del Green Pass in tutti i luoghi di lavoro, Parlamento compreso. È il caso dell’ex grillina Bianca Laura Granato, senatrice di L’Alternativa C’è, che ha già annunciato che si rifiuterà di esibire il Green pass all’ingresso di Palazzo Madama martedì 19 ottobre, quando si svolgerà un’informativa della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sull’assalto alla Cgil.
“Quando sono fuori dal Senato per rispettare tutte le regole cui sono sottoposti anche gli altri cittadini lo esibisco – ha detto la senatrice Granato -, ma nel luogo deputato alla rappresentanza dei cittadini, mi rifiuto di piegarmi a una distorsione del regolamento del Senato, oltretutto derivante da un decreto legge (sull’obbligo di Green pass nei luoghi di lavoro, ndr), un atto unilaterale del governo che ancora non è stato convertito in legge e che adesso il Parlamento sta discutendo”.
“Non farmi entrare sarebbe un atto gravissimo”
“Se non mi fosse data la possibilità di entrare in Senato, di difendere gli emendamenti che ho presentato e questi decadessero – ha aggiunto Granato -, sarebbe un atto gravissimo. Infatti se sono assenti i proponenti, gli emendamenti decadono in automatico”, aggiungendo che con il suo annuncio intende “informare i cittadini del grave pericolo che sta correndo la democrazia in Italia. La distorsione del regolamento del Senato che precluderebbe l’ingresso ai senatori, che non esibiscono la tessera verde, è un atto che colpisce le minoranze”.
Secondo l’ex pentastellata, “tutto quello che sta avvenendo in Italia è qualcosa di inedito nella storia della Repubblica dalla fine del fascismo: è in atto uno stravolgimento della Costituzione che non trova giustificazione in nulla che non sia un artificio del governo con la connivenza della classe politica che lo sostiene”.
Cinque emendamenti al decreto
Granato esprime inoltre solidarietà ai “manifestanti di Trieste e di tutta Italia che stanno tutelando uno stato di diritto che ci hanno negato attraverso leggi incostituzionali e autoritarie, che non esistono in nessun altro Paese europeo”.
Sono cinque gli emendamenti presentati da L’Alternativa c’è al testo sull’obbligo di Green pass nei luoghi di lavoro: “obbligo di indennizzo per menomazioni dovute alla vaccinazione, tamponi antigenici o molecolari gratuiti per i lavoratori non vaccinati, esclusione di collaboratori domestici, colf, badanti, commercianti ambulanti e piccole imprese (da 5 a 20 dipendenti) dall’obbligo di green pass come per l’orientamento e la formazione professionale nella scuola, credito d’imposta per i datori di lavoro privati che sostengano le spese per i tamponi ai propri lavoratori, sanzioni ridotte (da 60 a 100 euro invece che da 600 a 1500) o annullate per l’inottemperanza alle disposizioni sui green pass, anche il test antigenico salivare darà accesso al green pass, mentre la validità del test antigenico rapido passa da 48 a 72 ore”.
La “prova del fuoco” del 19 ottobre
Secondo l’agenzia Ansa, quella del 19 ottobre “un’informativa sull’assalto alla Cgil, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sarà la prova del fuoco per testare l’efficienza della nuova organizzazione interna delle Camere che si sono attrezzate per garantire migliaia di controlli non solo ai parlamentari e ai loro staff ma a tutto il personale delle due istituzioni”.
A creare dissenso per questo stato di cose, ci sarà anche il leader di Italexit, Gianluigi Paragone, sostenitore della protesta simbolo di Trieste.
Di Battista non le manda a dire
Sembra, intanto, crescere di giorno in giorno la “voce” del dissenso verso il Green pass: l’ex pentastellato Alessandro Di Battista sostiene che l’obbligo rappresenta una “forzatura che ha buttato benzina sul fuoco”, mentre “serviva intelligenza, ascolto, pacificazione. Invece sono arrivati lacrimogeni, idranti e manganelli”.
“E lavoratori che manifestano pacificamente sono trattati da criminali”, conclude Di Battista.